Omelia per la messa crismale

Carissimi presbiteri, diaconi, seminaristi, consacrate, giovani, autorità  e fedeli tutti fratelli e sorelle: grazie di esserci, per condividere insieme questa gioiosa e solenne eucarestia, in vera fraternità e grazia. Assaporiamo oggi il profumo di questo olio di esultanza, per comprendere ancor più il fascino del cammino del Sinodo, che sta diventando, con calma, passo dopo passo, una vera benedizione per la Diocesi tutta.

Anche a me, ora, piace compiere lo stesso gesto che fece Gesù, quel giorno, a Nazaret, nella sua sinagoga, come noi nella nostra bella cattedrale: entrò nella sinagoga, si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia e apertolo, trovò il passo…”.

Siamo a Nazaret. La sua Nazaret, la sua terra, amata e prescelta. Lui qui, tra quelle stradine era cresciuto. Qui vi era la bottega di Giuseppe, il suo padre. Qui, il pozzo dove Maria aveva tante volte attinto l’acqua della vita. Qui, la sua famiglia, con i cugini e cugine. Qui, il suo cuore di paesano. Qui la sua scuola, la sua vita, i suoi sogni sotto le stelle leggendo i grandi racconti della Bibbia, come l’avventura di Giona.

Il profumo di questa liturgia, perciò, si riempie fin dall’inizio del profumo del nostro  paese, di quella comunità che Dio ci ha affidata. Con un mirabile disegno della provvidenza. Perché ogni luogo sia spazio di crescita, sorriso di speranza, spazio al sogno per farsi segno.

Tornare a Nazaret: ecco il cuore del nostro Sinodo. Siamo partiti da qui, nelle riflessioni sulla gioia, durante il periodo natalizio. Conoscerne i sapori e colori, intuirne i legami, amare la propria terra, servire il Molise con cuore verginale, nella gioia del nostro celibato, come lo sposo ama la sua sposa. Perciò ci impegniamo a conoscerla sempre più, a studiarne la storia, a diffondere il profumo delle nostre bellezze! Per poi servire questa terra con dedizione e zelo, in profumo di esultanza. I nostri piccoli paesi sono tanto simili Nazaret: poco noti, quasi disprezzati tanto che viene ripetuto lo slogan che il Molise è la regione che non c’è. Eppure, qui Gesù annuncia la sua prima omelia, il suo discorso inaugurale, con quel Oggi che ne attraverserà tutta la predicazione, accompagnerà ogni suo gesto, segnerà ogni suo incontro. Il Sinodo, per noi, è proprio questo oggi che si fa amore al presente, lettura positiva e chiara degli eventi, ma sempre con il cuore capace di offrire speranza, pur se ancora in germoglio. Non letture così realistiche da sconfinare in un pessimismo sterile, che descrive ma non risolve, statistico ma poco contenutistico. Un prete, nelle sue omelie, ha sempre una marcia in più: Lo spirito del Signore è sopra di me! 

Per questo, l’olio preziosissimo del CRISMA si fa messaggio per il Sinodo. E’ profumatissimo, per l’aggiunta di ben 45 essenze, che si legano al profumo intensissimo del bergamotto, che ogni anno ci viene regalata dalla comunità di Locri, seguendo una tradizione ormai consolidata, da me iniziata nel 2006 come gesto di gratitudine per il concreto sostegno avuto nei giorni della violenza mafiosa. Quest’anno, poi, la Chiesa di Locri ci ha dato un forte segno di riscatto sociale. Atteso e unitario. Quanto ho gioito nel vedere finalmente uniti tutti i vescovi della Calabria, insieme in preghiera sulla piazza, nel leggere i nomi delle vittime di mafia. Ed è singolare notare come una terra segnata da così tanti problemi sappia poi donare un profumo così intenso! Per dirci che non ci sono spazi perduti né terre dimenticate pur se fragili, quando si combatte insieme.

Perciò lo stile sinodale è ben rappresentato dalla commovente immagine del salmo 132:  E’ come olio profumato che scende sul capo, che scende sull’orlo delle sue vesti, come rugiada dall’Ermon: là il Signore dona la benedizione, per sempre! La fraternità  la gioiosa risposta alle nostre solitudini esistenziali. Nazaret è l’icona della gioia condivisa, dove si cresce e si ama, insieme.  E’ la spinta alle fraternità presbiterali, nelle forme realistiche ma possibili del nostro territorio! Da intensificare. Troppo duro, infatti, è a mio avviso, il cammino di tanti preti che vivono da soli! Certo, è una vita scelta, perciò amata. Ma può essere ancor più riempita di passi insieme, di amicizie tra presbiteri, di intrecci fraterni, di lectio sulle letture domenicali preparate insieme, di legami sempre più sacri e necessari. In solitudine eroica, ma mai isolati! Fin dagli anni della formazione in Seminario!

Nazaret, poi, è la città fatta fiore, come ci dice il suo nome. E ci narra del gusto della bellezza, che resta la miglior forma di resistenza al male. Di ogni tipo. Scrive Von Balthasar: In un mondo senza bellezza, anche il Bene perde la sua forza di attrazione! Perché la bellezza, come il profumo, è gratuita e ci sostiene nella lotta contro la logica della cupidità e della tristezza!”. E’ la via pulchritudinis, come via sinodale, per far brillare tutte le scintille di bellezza per un volto umano nei nostri borghi, difesi dalla frane e della logica del profitto urbano. Certi che se custodiremo la tipicità e l’identità dei nostri paesi, sapremo anche dar lavoro ai nostri giovani. Con dignità e grazia. La bellezza da lavoro! Le nostre belle chiese restino aperte, siano ben custoditi gli archivi, decorosi e amati i luoghi a noi affidati, creando in paese un gruppo di giovani capaci, per essere animatori turistici di comunità! Questo è tornare a Nazaret. Dove Gesù era stato allevato, dove aveva le sue radici, dove aveva imparato il suo dialetto ed era circondato alle sue relazioni d’amore.

Bello è poi vedere Gesù nella SINAGOGA.

Ha i gesti regali del Signore e del Maestro: “entra, si alza a leggere e gli viene dato il rotolo del profeta Isaia”. Tre gesti bellissimi, maestosi. E’ sabato! Gesù entra in un ambiente familiare, la sinagoga è un po’ la sua casa. Si sente in famiglia. Come deve essere per noi, in ogni nostra chiesa. Con quei legami di nuove appartenenze che arricchiscono e completano i  legami naturali. Il presbiterio diocesano si fa così la famiglia dove ti senti a casa, amato e compreso, mai solo, dove ti puoi alzare per leggere e parlare senza paura di essere giudicato.

E “il passo che troviamo”, nel rotolo che si schiude silenziosamente davanti a noi, non sarà mai a caso. Aprire il rotolo è come compiere ogni giorno la nostra meditazione silenziosa, raccolti nel cuore della verità. E quel passo che troveremo ci sarà sempre luce per tutta la nostra giornata. Curiamo molto l’ufficio delle Letture! Con un adeguato commento, sarà nutrimento spirituale e vigore culturale! E non manchi la cura del diario, cioè un saper riflettere con saggezza sul nostro oggi! 

Quell’aprire il rotolo di Isaia è come se la nostra vita che si srotolasse davanti al Cristo, Parola viva. Nulla è nascosto agli occhi suoi! Ed anche noi, come diaconi e presbiteri, quando apriamo quel libro, specie quando lo portiamo solennemente, tra nuvole di incenso e canti di esultanza, leggiamolo con solennità ed incarniamolo con profezia. Dalla Parola di Dio, infatti,  nasce il rinnovamento della nostra Chiesa. Non bastano le processioni. Occorrono i Cenacoli del vangelo, gli angoli della Parola nelle case, i gruppi biblici, le settimane bibliche, la Domenica del Verbum Domini (come abbiamo il Corpus Domini!). Allora le nostre case avranno il profumo delle pecore che seguono con fedeltà il Pastore grande delle Pecore (Cfr Ebrei 13,20).  Per questo, ogni traccia del cammino sinodale parte sempre dalla meditazione, incarnata, di una figura biblica, come Giona o i pastori. Insegnare a coniugare, con sapienza profetica, la Parola con la storia, la Bibbia con il giornale, resta il regalo più vivo per le nostre piccole comunità. Anche se con pochi sacerdoti, saranno gli stessi laici a spezzare la Parola: A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. (Ap 1.5-8).

Alzarsi a leggere sia la nostra gioia, dopo un’adeguata preparazione, per proclamare con solennità la Parola di vita. Tanta strada si è fatta, in quest’anno, dopo il corso fatto mesi or sono. Grazie all’Ufficio liturgico. Resta ora da curare da parte nostra, come pastori, la breve ambientazione iniziale che sappia creare in pochi attimi quell’atmosfera di attento ascolto che permetta alla Parola di Dio di scendere non sulla strada, né tra le pietre o i rovi ma nel terreno buono. Lasciamo a casa i foglietti che frenano la preghiera dei fedeli creata direttamente dalle nostre comunità locali e non stimolano un reale ascolto della Parola! E poi, curiamo tanto il canto del salmo, per una maggiore solennità, dando alla liturgia la bellezza incontenibile  della  gioia. E iniziamo a creare una bella Liturgia della Parola, il mercoledì, come scuola della Parola.

E non solo nella chiesa vi sia la gioia della proclamazione, ma anche negli ambienti. Quanto bene mi ha fatto essere stato invitato a tenere una rapida catechesi alla Asrem, in città al vecchio ospedale. L’invito mi è giunto da una impiegata coraggiosa, che opera con testimonianza tra i suoi colleghi, spesso tra loro in tensione. Mi sono rallegrato per il clima di grande ascolto. Una parola che penetra, oggi, soprattutto negli ambienti di vita sono ancora verginali, in attesa!  La forza del parroco è proprio questa: entrare nelle realtà di vita del proprio paese, seguire la vita amministrativa senza intrusioni né interessi, accompagnare le realtà lavorative come le stalle o le fabbriche.

E a proposito di ambienti irrigati e fecondati dalla parola di Dio, come a Nazaret, ricordo un incontro fecondo con il presidente Scalfaro, uomo di grande fede. Nell’incontro che ebbi con lui pochi giorni prima di essere consacrato vescovo, 23 anni fa, ne raccolsi la testimonianza: Quando entro al mattino in Quirinale, mi sembra di aver davanti un gomitolo ingarbugliato di mille problemi. Faccio una sosta e prego lo Spirito santo! E mi accorgo che lentamente riesco a trovare il bandolo della matassa. Uno ad uno, con il sorriso e la pazienza, vedo che è possibile risolvere tanti problemi intricati e difficili!

Preghiamo infatti ora nella benedizione dell’olio dei catecumeni: “Perché possiamo avere la sapienza per comprendere sempre più profondamente la Parola del Vangelo ed assumere con generosità gli impegni della vita cristiana”. Una parola fatta

Consacrati con l’unzione

Infine, Gesù, dopo essersi alzato e aver creato un clima di grande ascolto, attualizza quella parola antica, attorno al gesto dell’Unzione dello Spirito su di lui! E’ consacrato, è mandato, con la stessa forza che ha l’olio degli infermi. Gesù, da vero sacerdote, sa portare consolazione, con precisi gesti: ai poveri il lieto annunzio, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, la libertà agli oppressi, in un anno di grazia che per noi è proprio l’anno del Sinodo!

Consolare, infatti, è creare speranza tra il clero, in un tempo in cui l’entusiasmo è poco. E’ accompagnare i germogli. E’ donare con generosità aiuto fraterno e saper anche chiedere aiuto, senza vergogna. E’ soprattutto fermarsi (incominciando io per primo, nel mio compito di vescovo!) ad ascoltare i nostri confratelli sacerdoti, visitarli nella malattia, perdere tempo con loro, confessarsi reciprocamente, correggerci in lealtà e rispetto. E poi dare un tono materno alle nostre analisi. Mai giudizi, ma sempre stima reciproca. Imparando da Maria a Cana: non hanno più vino, non hanno più lavoro, non hanno più speranza! Con che tono avrà detto queste parole!? Con quale premura? Cioè, quella tenerezza che sa strappare i miracoli e ricuperare un prete! Mi resterà sempre presente il dono che ci ha fatto don Raffaele Bove, figura straordinaria del nostro presbiterio, sempre allegro e cordiale, positivo fino a cento anni, penetrante nelle confessioni, con larghezza di precisi consigli ed eroici esempi, fino alla fine. Come in mons. Antonio Nuzzi, per lo zelo con cui ha seguito, in tempi di grande povertà, il suo servizio alla casa di riposo Gesù e Maria, in Bojano. Vicino ai poveri, uomo di fede, sempre con il sorriso, mai un giudizio, riservato e pacato pur se acuto, servo fedele. Per questo, siamo a buon punto nella raccolta di importanti testimonianze, sul suo vissuto da prete e poi da vescovo, nelle due diocesi che ha servito, che desideriamo pubblicare al più presto. Grazie a chi vi ha collaborato. Mentre segnalo la poca risposta da parte vostra, come sacerdoti, per le testimonianze su don Raffaele!

Usciamo insieme dal labirinto della solitudine, con il filo della fraternità, come ci ha insegnato papa Francesco, a Castelpetroso, dialogando con i giovani:  “Cercate il filo per uscire dal labirinto, cercate il filo, perché non si può bruciare la vita girando! Accompagnati, invece, nel cammino da Gesù. Camminare la vita, mai girare la vita!”.

La consolazione, poi, diventa oggi pienezza quando sa intrecciarsi con le nostre famiglie. E’ nel legame tra presbiteri e famiglie che raggiungiamo il vertice della consolazione. Ogni carisma si fa indispensabile per gli altri doni. La famiglia serena aiuta il parroco. Ed il parroco restituisce con motivazioni bibliche sempre più alte.

Non sia fuori luogo questo tagliente inedito monito di papa Francesco, nella Amoris laetitia, a proposito del celibato,dono grandissimo e vitale per noi, scelto con fatica e gioia insieme. Eppure, esso stesso può diventare “comodità”. Scrive infatti il papa: Il celibato corre il rischio di essere una comoda solitudine, che offre libertà per muoversi con autonomia, per cambiare posto, compiti e scelte,per disporre del proprio tempo e denaro, per frequentare persone diverse, secondo l’attrattiva del momento!” (n.162). E come rimedio, per non cadere in questa insidia della comodità, il papa ci invita a guardare alla testimonianza delle persone sposate, magari con tanti figli, spesso svegliate di notte, in veglia sui piccoli come le suore di clausura davanti al tabernacolo! Gioie e lacrime condivise! Asciugate insieme.

Con un grazie ai sacerdoti vicini alle loro mamme o papà anziani ed ammalati, in tante nostre case e come ho rivisto domenica scorsa, da parte di don Luigi Di nardo, nei confronti della sua mamma anziana ed

Il mio braccio è la sua forza

Così recita il salmo responsoriale. Ed anch’io, come Vescovo, segnalo una serie di “forze” importanti, alcune già indicate da don Antonio Arienzale, attuale nostro Vicario Generale. In primo luogo, infatti, desidero dirgli grazie, perché ha accettato subito, dopo la vostra corale designazione, questo non facile sevizio, rivelando doti ben coltivate di grande ascolto e tenace pazienza, con tutti i preti e diaconi, unito ad uno sguardo di preziosa lungimiranza. E con lui, un grazie a tutta la Curia, nelle sue variegate articolazioni. Allo stesso modo sento di manifestare grande riconoscenza a mons. Giuseppe Nuzzi, per il suo lungo servizio come Vicario Generale. Quanto gli sono grato, per la chiarezza ed efficacia dei suoi consigli ed interventi! E con me, tutti voi, certi di goderne ancora, in clima meno ufficiale ma altrettanto gioioso.

Proprio per poter seguire bene il mese di maggio, con tutta la sua particolarità di dolcezza e formazione della nostra gente, stiamo preparando uno specifico sussidio su Maria ed il sinodo, sui suoi passi di ragazza che porta speranza, in un ricordo particolare per Fatima nel suo perenne messaggio, innestandolo tra noi nella vita eroica di Fra Immacolato, che resta sempre più vicino al nostro clero, specie oggi, giorno sacerdotale, grati per il suo essere sacerdote come vittima immolata, pur non essendo prete per consacrazione!

Domenica scorso, festa dei giovani, abbiamo fatto l’ingresso dei dieci nostri seminaristi del Seminario Diocesano Missionario nel convento Santissima Trinità, di Sepino. Un duplice ingresso, dunque: di Gesù in Gerusalemme e dei seminaristi in Sepino. Grati ai Frati Minori, che con lungimiranza ce ne hanno fatto gratuito dono. E grazie alla cittadina che li ha accolti con vera e partecipe gioia. E grazie ai nostri Seminaristi di Chieti, presenti, che subito si sono intrecciati in un unico cammino formativo, pur se in luoghi diversi.

E’ già noto che una suora, Suor Margherita, della congregazione delle Poverelle di Bergamo, ha ottenuto dal suo consiglio generale il permesso di poter fare una esperienza i vita all’eremo di sant’Egidio, in Bojano. Per me, è stato bellissimo poterla accompagnare. Sarà una sentinella di preghiera di luce, per tutti, innestandosi così con l’eremo di Faifoli, posto ora sotto la protezione di sant’Elia oltre e di san Pietro Celestino, che ha allargato con grazia la sua presenza liturgica, oltre che con le Monache Clarisse accolte temporaneamente e con vera cordialità dalla terra di Cercemaggiore. E con loro, sentiamo vivo il profumo di tutte le nostre consacrate e suore, per il dono della loro vita ed il servizio al vangelo con cuore grande.

Si fa poi sempre più bello il nostro santuario di Castelpetroso, dove è stata assicurata, dopo lunga trepidazione, la presenza dei Padri Conventuali, dono squisito per le confessioni. Ne siamo grati e benedicenti, per questa scelta che renderà tutti più capaci di futuro, anche vocazionale. Oggi infatti chi teme non raccoglie. Chi ha entusiasmo e passione, si fa invece sorgente vocazionale, certa e bella.  Per questo, mi piace rinnovare la devozione che sempre mi ha sostenuto per la salve Regina, certo che quegli occhi misericordiosi, a noi rivolti, saranno di benedizione e forza per il cammino sinodale, cuore della vita diocesana. Amen.

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