OMELIA II domenica anno B – 28 febbraio 2021 – Guardiaregia e Colle d’Anchise. – “IL VOLTO LUMINOSO DEL CRISTO TRASFIGURATO, LUCE NELLA PANDEMIA”

La pandemia ci rende consapevoli del nostro cammino di vita. Ci invita a guardare al mistero della morte. Sentiamo di essere ancor più fragili. Non mancano momenti di grande stanchezza interiore. Svuotati e demotivati, perché nella zona rossa, tutto viene bloccato Anche il cuore, che rischia di non sperare più. Veramente tutto è fragile, tutto provvisorio, ogni cosa è precaria! Questa sensazione si fa preoccupazione e paura. Che si diffonde in tutte le realtà vissute insieme, dove “l’altro” appare come un eventuale portatore di contagi!

In questo contesto tremendo, l’omelia per i nostri due paesi si fa ancor più necessaria. A Guardiaregia, dove il parroco, don Nicola è assente perchè in ospedale, per problemi di cuore. Affrontato il problema cardiaco con urgenza al pronto soccorso, è stato subito ben impostato da un personale sanitario efficiente e coraggioso. Ed ora don Nicola sta bene!

 E a Colle, celebriamo la ricuperata salute di don Fredy, ammalato nei giorni scorsi, per un po’ di tempo assente dalle celebrazioni. Per questo vivremo la liturgia della ceneri, che lui non ha potuto celebrare, per dire grazie al Signore della vita che ci restituisce, con grazia.

In questo contesto il vangelo della trasfigurazione diventa una risposta meravigliosa alle nostre paure. Perché ci spinge a guardare oltre, ad essere capaci di uno cuore lungimirante. La vita infatti dipende sempre da “dove guardi? E a chi guardi?”. Ebbene, il vangelo di oggi ci spinge a guardare al volto del Cristo, superando la paura del monte alto, della fatica nel salire. Ricordo quel giorno che siamo stati sul monte Tabor, diversi anni fa, con un gruppo di pellegrini. Nebbia e pioggerellina, all’inizio, nel salire a piedi. Poi, man mano che salivamo, il cielo si aprì e sulla cita, con un panorama meraviglioso, il sole rese dolce la nostra fatica nel salire e disperse tutte le nostre ansie. Così sia in questa emergenza del covid: quel volto del Cristo si faccia sole che caccia tutte le nostre paure.

Il suo abito è bianchissimo; supera ogni lavatura a mano. Vince cioè tante fatiche  umane. E’ una luce gratuita,  che ci è data oltre i nostri meriti. I discepoli che  lo contemplano saranno gli stessi dell’ora di agonia, nel Getsemani. Qui, vigilano. Là, dormiranno, lasciando solo Gesù nella sua sofferenza. Perciò i due monti, TABOR E CALVARIO, vanno sempre congiunti. Mai scinderli. Perché il volto splendente si fa pienezza nel volto doloroso del Calvario. Ed il Calvario va letto nella luce del Tabor. Perché anche la nostra vita abbia sempre questa salvifica duplicità, che rende autentica la nostra vita. “E’ bello  per noi essere qui!”. E’ bello, perché ora l’occhio contempla, riceve luce. Finalmente l’Umano descrive il Divino. Il cuore si apre a nuovi orizzonti. La paura della pandemia è superata dall’ardore della contemplazione. C’è sempre una luce, anche dentro la fatiche umane. La bellezza salverà il mondo.

Entra in gioco allora, la VOCE. La voce sommessa di Mosè ed Elia che conversano tra loro, fraternamente con Gesù. Ma ancor più la voce finale dopo la visione, quando appare una NUBE, dalle mille angosce, che oscura quel volto. Come la pandemia, oggi, per noi. Come un inatteso ricovero in ospedale, per don Nicola. O un sosta per covid, per don Fredy. La malattia è proprio come una nube, obnubila il futuro oscurandolo;  rinchiude le prospettive, come avvenne per i tre discepoli. Ma proprio a loro, in quel momento amaro, la voce divenne certezza e chiarezza. “Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”. E’ la voce della fonte dell’amore, il Padre, che rassicura la presenza del Figlio nella luce dello Spirito, l’Amato.

Ci è poi di conforto e sostegno, guida nelle nostre “notti” la fede di Abramo  nella prima lettura, così attuale: “IN SPEM, CONTRA SPEM, CREDIDIT!”. Perciò ebbe fede contro ogni speranza: “pienamente convinto che Dio era in grado di mantenere le promesse, rimase forte nella fede e rese gloria a Dio! Perciò, Dio lo considerò giusto!”.” (Romani 4,18-22).  Divenne segno di benedizione, come lo è chi, in questo difficile momento di pandemia, sa essere forte contro ogni speranza. Sa dire parole di coraggio. Sa guardare oltre. Sa essere baluardo di unità per tutta la sua comunità parrocchiale o familiare.

Perciò, con san Paolo, nella seconda lettura (Romani 8, 31-34), possiamo anche noi ripetere: “Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi…Chi ci accuserà? La nostra sicurezza, infatti, è il Figlio consegnato per tutti noi, che ci dona ogni cosa, che sta alla destra di Dio, che intercede per noi!”.

Vorrei concludere con un testo del NOSTRO SINODO, che nel secondo dono affronta la rimotivazione alla speranza, in tempo di malattia. Scrive il sinodo (P40-45) che è necessario educare a considerare il malato non tanto come oggetto di attenzioni e premure, pur doverose, ma  pienamente come soggetto attivo e responsabile del Corpo mistico di Cristo. Perciò, è bello offrire al nostro popolo una solida catechesi, per affrontare e vivere con fiducia e serenità il sacramento dell’Unzione degli Infermi, superando così quella concezione tradizionalista,  che l’aveva ridotto a sacramento dei moribondi, ingenerando nell’ammalato e nei familiari sospetto e paura.  

Ma è prezioso anche educare, con discrezione e dolcezza, i credenti ad accogliere le situazioni di malattia come  “scuola di vita”, sicuri che “in Cristo” la croce della sofferenza è sostenibile. In quest’opera di vitale rimotivazione, hanno un ruolo importantissimo i sacerdoti, i diaconi, le suore e i ministri straordinari della comunione.

Affidiamo dunque all’Ufficio di Pastorale della Salute l’opportunità di fissare un incontro annuale di Celebrazione comunitaria del Sacramento dell’Unzione. Per questo evento, ci sembra utile indicare il pomeriggio della vigilia di Pentecoste, come  “Unzione della consolazione”, tenuto anche presente che la celebrazione cadrebbe in una stagione mite e favorevole, anche per i malati (diversamente dalla giornata del malato, fissata l’11 di febbraio).

Inoltre, per facilitare ai malati la possibilità di accesso alla Comunione eucaristica di domenica e nei giorni festivi, mediante il servizio affidato agli accoliti istituiti e ai Ministri straordinari, diamo ai Ministri straordinari della Comunione il compito e la missione di farsi “premurose sentinelle” sul territorio, specie nei grandi condomini della città, per permettere alla comunità cristiana di venire a conoscenza dei tanti disagi, spesso silenziosi, che vive il nostro popolo di Dio. Inoltre, per farsi carico delle difficoltà di coloro che sono toccati dalla malattia e dalla sofferenza, è auspicabile che cresca il volontariato di prossimità, così che ogni membro della comunità si senta impegnato ad avvicinare e a farsi avvicinare, con umiltà, da chi è toccato dallo sconforto e dalla disperazione.

Con un ultimo auspicio: quello di istituire un coordinamento diocesano tra i cappellani degli Ospedali, delle Cliniche e delle Case di cura e di riposo presenti in Diocesi, promosso dalla Pastorale Diocesana della Salute, per ravvivare l’incontro con Gesù Cristo nella Parola e nell’Eucaristia; e non  solo dei malati, ma anche di quanti si prendono cura di loro, per creare nella nostra società una cultura sensibile alla sofferenza e ai valori della salute e della vita. Per tutto questo, si valorizzi l’annuale Giornata del Malato, con opportune iniziative, nei nostri ospedali e nelle cliniche, oltre che nelle nostre famiglie.

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