L’Arcidiocesi di Campobasso-Bojano si prepara a vivere con intensità spirituale la Veglia Diocesana di Pentecoste, che si terrà venerdì 6 giugno alle ore 20.00, presso la Chiesa Cattedrale della Santissima Trinità di Campobasso.
La celebrazione sarà presieduta da S.E. Mons. Biagio Colaianni, Arcivescovo di Campobasso-Bojano, e animata dall’Ufficio Pastorale Diocesano delle Aggregazioni Laicali.
La Veglia di Pentecoste rappresenta uno dei momenti più significativi per la vita della Chiesa: un’occasione per riunirsi come comunità viva e orante, per invocare con fede la venuta dello Spirito Santo, fonte di unità, coraggio e rinnovamento. Come gli Apostoli riuniti nel cenacolo, anche oggi siamo chiamati a rinnovare la nostra disponibilità ad accogliere il soffio dello Spirito che trasforma, guida e invia.
Tutti i fedeli, i gruppi, le associazioni e i movimenti ecclesiali della diocesi sono invitati a partecipare. Sarà un tempo di ascolto, preghiera e condivisione, aperto a tutti coloro che desiderano lasciarsi rinnovare dalla forza dello Spirito e camminare insieme come Chiesa sinodale.
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Omelia di S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni in occasione della Veglia di Pentecoste.
Prima di ogni parola, prima di ogni gesto, prima ancora di iniziare, riconosciamo che Dio è presente. È Lui che ci precede, che ci chiama a raccoglierci in questa veglia allo Spirito Santo, non come semplici spettatori, ma come persone in ascolto, disposte ad accogliere ciò che lo Spirito vuole compiere in noi.
Celebriamo insieme un tempo di preghiera fatto di parole, di silenzi, di ascolto e contemplazione. Ma non basta pronunciare formule o canti: ciò che conta è che queste parole siano in sintonia con lo Spirito, che provengano da un cuore abitato e rinnovato. Chiederemo a Dio che il suo Spirito rianimi la nostra vita, specialmente ora, alle soglie della Pentecoste, giorno in cui siamo resi capaci di chiamare Dio “Padre” e riconoscere Gesù come “Signore”.
Lo Spirito è il vincolo della comunione trinitaria, quella comunione in cui anche noi siamo chiamati a entrare. Il nostro compito non è solo parlare di Dio, ma lasciare che sia Dio a parlare in noi. È difficile, certo, perché richiede raccoglimento, meditazione, interiorità. Ma è proprio lì, nella profondità del nostro cuore, che lo Spirito opera.
Salutiamo con gratitudine le confraternite, le congregazioni, i movimenti presenti, segni concreti della varietà e della ricchezza della Chiesa. Una diversità che lo Spirito non annulla, ma unisce, componendo l’unità nella molteplicità.
Se ci apriamo sinceramente a questa azione divina, possiamo diventare strumenti di pace e unità nel mondo. Lo Spirito Santo discende ovunque ci siano cuori aperti e uomini e donne di buona volontà. Questo è il tempo di vivere la preghiera non solo con la voce, ma con tutto il nostro essere.
L’azione dello Spirito non è qualcosa di teorico. Egli accompagna il nostro cammino quotidiano, ci sostiene quando siamo stanchi, ci rialza quando cadiamo, ci indica la meta anche quando tutto sembra oscuro. È Lui che dà dinamismo alla nostra fede, trasformando ogni giorno in occasione di rinnovamento.
La Scrittura ci insegna molto a riguardo. Pensiamo al racconto della Genesi, quando l’uomo cerca di costruire da sé la propria grandezza, escludendo Dio. Quella torre – simbolo dell’orgoglio umano – finisce per dividere, confondere, frammentare. Ma Dio non è un Dio che punisce per piacere: Egli ci richiama alla verità più profonda, che l’unico linguaggio universale è quello dell’amore.
E anche noi, all’interno della Chiesa, siamo diversi. Ognuno ha il proprio modo di pregare, il proprio stile, la propria sensibilità. Ma questa diversità, lungi dall’essere un ostacolo, è la condizione per costruire l’unità vera: un’unità che non è uniformità, ma comunione.
Mosè ci ricorda che Dio ha fatto un’alleanza con un popolo variegato, e l’ha fatto per renderlo libero. Allo stesso modo, anche noi siamo chiamati a essere popolo liberato, popolo dell’Alleanza, portatori di speranza in un mondo che spesso conosce solo dolore e disgregazione.
Dove vediamo la morte, dove ci sono solo “ossa inaridite”, lì Dio può agire. Il suo Spirito può ridare vita, rimettere in piedi ciò che era crollato, ricomporre ciò che era disperso. Il nostro mondo, ferito da guerre, povertà e ingiustizie, ha bisogno di questo soffio vitale.
Eppure, spesso restiamo bloccati nella sfiducia. Siamo tentati di credere che non ci sia più nulla da fare, che tutto sia perduto. Ma è proprio lì che lo Spirito ci invita a sperare. Il vero miracolo non è solo che Dio ridoni la vita, ma che coinvolga anche noi nel suo operare.
Troppe volte preghiamo poco, intercediamo poco, ci fidiamo poco. Eppure la Scrittura è chiara: “Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza… intercede per noi con gemiti inesprimibili”. Non siamo soli nel nostro cammino: lo Spirito è accanto a noi, dentro di noi, e agisce secondo i disegni di Dio.
Nella celebrazione eucaristica, è lo Spirito che rende presente Cristo. È Lui che fa della nostra assemblea una vera comunità, è Lui che trasforma il pane e il vino, che ci rende popolo di Dio. Senza lo Spirito, la nostra fede rischia di diventare sterile.
Eppure, spesso lo conosciamo poco. Preghiamo Dio Padre, seguiamo Gesù Cristo, ma lasciamo lo Spirito ai margini. Eppure è Lui che ci permette di dire “Padre”, è Lui che ci dona la vita nuova nel Battesimo, che ci conferma nella fede.
Senza lo Spirito, siamo aridi. Con Lui, diventiamo sorgenti d’acqua viva. Fiumi di acqua che irrigano la terra, fanno nascere alberi, portano frutti. Ma dov’è l’acqua viva nei luoghi di guerra, nei deserti umani che vediamo ogni giorno? È forse Dio assente? O forse siamo noi che abbiamo smesso di essere canali dello Spirito?
Il mondo ha bisogno di essere salvato. E Dio, nella sua misericordia, desidera farlo. Ma ha bisogno anche del nostro assenso, della nostra disponibilità. Che ci sia almeno qualcuno, da qualche parte, che dica: “Signore, salvaci!”
Lo Spirito Santo grida in noi pace, fraternità, amore. E ci spinge a chiederlo con insistenza, con fiducia, con fede. Ma il vero segno che tutto questo è reale sarà nelle nostre case, nei nostri luoghi di vita. Se lì lo Spirito non agisce, se lì il circuito si interrompe, allora anche il mondo resta arido.
Ma se apriamo spazio all’azione dello Spirito nella nostra quotidianità, allora sì, Dio potrà realizzare, anche attraverso di noi, la sua salvezza per il mondo intero.
Chiesa Cattedrale di Campobasso
6 giugno 2025
+ S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni
Celebrato nella Cattedrale della Santissima Trinità di Campobasso, il Giubileo delle Aggregazioni Laicali dell’Arcidiocesi di Campobasso–Bojano è stato un’intensa esperienza di fede, comunione e testimonianza. Un vero dono di grazia: segno della gratuità dell’amore di Dio che, attraverso lo Spirito Santo, anima la vita della Chiesa e dei laici, suscitando carismi, vocazioni e impegno al servizio del Vangelo.
L’evento ha offerto a gruppi, movimenti e associazioni laicali un’occasione preziosa per riscoprire la bellezza della comunione ecclesiale e rinnovare lo slancio missionario, portando nel mondo la luce del Vangelo attraverso il carisma di ciascuna realtà.
Omelia di S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni in occasione del Giubileo delle Aggregazioni Laicali, Chiesa Cattedrale della Santissima Trinità a Campobasso. Sabato 11 ottobre 2025
Carissimi,
rivolgo innanzitutto un saluto al vicario generale, al parroco della cattedrale, ai sacerdoti, ai diaconi e a tutti coloro che prestano servizio. È bello notare come, prima con il Rosario insieme alle diverse aggregazioni locali e ora con la presenza degli scout, si manifesti visibilmente l’unità della Chiesa. Unità che si esprime nella partecipazione e nella condivisione dell’unica fede in Gesù Cristo, nostro Signore. Questo è un segno che non va mai trascurato, ma anzi, valorizzato come testimonianza della forza della Chiesa nel mondo.
Se non sappiamo vivere l’unità, la fraternità e la comunione davanti a Dio, non possiamo essere autentici testimoni di Cristo. Cristo non si può dividere, e noi siamo il suo corpo: la Chiesa. Solo nella sua unità possiamo annunciare il Vangelo al mondo e favorire la conversione.
La prima lettura ci presenta la figura di Naman, un uomo malato di lebbra che aveva probabilmente già cercato guarigione da vari guaritori, tutti a pagamento, attraverso riti magici o esorcismi. Non aveva più fiducia. Eppure, la via della salvezza gli viene indicata da una persona semplice: una schiava, che gli parla di un profeta in Israele. Questa scena ci ricorda che ciascuno di noi può essere uno strumento per indicare agli altri la strada verso Dio.
Naman parte con aspettative alte: si aspetta riti straordinari, accoglienze solenni. Ma accade tutt’altro. Il re d’Israele si spaventa e pensa che ci sia un secondo fine. Solo grazie all’insistenza dei suoi servi, Naman si reca dal profeta Eliseo, il quale non lo riceve nemmeno di persona, ma gli manda a dire di bagnarsi sette volte nel fiume Giordano. Naman inizialmente rifiuta, ma alla fine obbedisce. E guarisce.
Nel Vangelo, anche i dieci lebbrosi gridano a Gesù chiedendo misericordia. Vengono tutti guariti, ma solo uno torna a ringraziare. Solo lui si salva. Questo ci insegna che la guarigione esteriore può toccare tutti, ma la salvezza è legata alla fede. È la fede che trasforma la guarigione in salvezza, ed è ciò che accade anche a Naman, che riconosce il Dio d’Israele come unico Signore.
Quante volte anche noi diciamo: “So che Dio esiste”, eppure subito dopo ci lamentiamo: “Dov’è Dio? Perché non interviene?” Ci abbandoniamo a un’idea di Dio simile a quella di un taumaturgo, un mago pronto a risolvere i nostri problemi, quando invece il Dio cristiano è quello rivelato da Gesù Cristo: un Dio che dona se stesso nella storia, che si affida alla fede dell’uomo.
La fede non è mai qualcosa di scontato. È un dono gratuito di Dio. Nei momenti difficili, quanto sappiamo viverla davvero? La fede in Cristo passa anche attraverso la fede nella Chiesa, fatta di persone comuni, imperfette, come lo sono i sacerdoti, i parroci, o anche il vescovo stesso. Ma è questa la Chiesa, e noi siamo parte di essa.
Non si è cristiani “migliori di altri” perché si appartiene a un’associazione, a un movimento o a un gruppo ecclesiale. Si è cristiani perché, insieme, si è corpo di Cristo. È la fede personale, vissuta nella comunità, che rende viva la Chiesa. Se manca questo, resta solo una religione vuota, senza fede.
Purtroppo, anche oggi rischiamo di vivere una fede solo esteriore: partecipiamo alla Messa, ma per abitudine. Recitiamo preghiere, ma senza il cuore. In realtà, anche i gesti abituali possono essere portatori di vita, se animati da un cuore che si dona ogni giorno.
Naman voleva offrire doni a Eliseo in cambio della guarigione, ma il profeta li rifiuta. Perché la salvezza è un dono gratuito. Anche noi, per quanto preghiamo o partecipiamo alle celebrazioni, non possiamo mai “meritare” la grazia: possiamo solo accoglierla con cuore aperto.
Se questo non accade, allora anche la nostra preghiera rischia di diventare un rituale magico vuoto, privo di significato. I nove lebbrosi guariti non tornano da Gesù: erano stati guariti, sì, ma non hanno riconosciuto il Salvatore. La loro fede era ancora legata alla legge, alla forma. Solo uno di loro, un samaritano, coglie che in Gesù c’è Dio, e per questo è salvato.
Per crescere nella fede, dobbiamo educarci alla Parola. San Paolo ci dice che questa Parola è degna di fede. È una parola che libera, che non può essere incatenata, che dona senso alla vita. Una parola che, se ascoltata con perseveranza, ci guida a vivere con fede autentica.
Il miracolo non basta: ciò che conta è il cammino della fede. Dio compie miracoli ogni giorno, ma spesso non ce ne accorgiamo. Perché Dio è discreto, umile, nascosto. Non ci mette davanti i cartelli per ricordarci i suoi interventi. Li comprendiamo solo nella fede. E allora nasce spontaneo un ringraziamento puro, non per ripagare, ma perché è naturale lodare Dio per ciò che è, non solo per ciò che fa.
Anche noi, in questo momento giubilare, siamo entrati in chiesa attraversando una porta: un gesto simbolico che esprime il desiderio di conversione. Chi può dirsi già arrivato nella fede? Nessuno. Tutti abbiamo bisogno di camminare con le nostre fragilità, chiedendo a Dio che ci guarisca continuamente con la sua grazia.
Questo cammino non avviene in modo straordinario, ma nella quotidianità, mentre viviamo la nostra vita. Come accadde ai lebbrosi, anche noi possiamo essere guariti lungo la strada, riconoscendo che Dio è presente nella nostra storia.
La nostra speranza ha un nome: Gesù Cristo. Il Giubileo ci ricorda che la speranza non delude, perché non si basa su noi stessi, ma sulla salvezza offerta da Dio attraverso suo Figlio. Ed è proprio l’Eucaristia il mistero della salvezza a cui possiamo accostarci: fonte di comunione personale e comunitaria, che apre il cuore all’incontro, alla condivisione, al riconoscere Cristo nel volto degli altri.
L’Eucaristia è il luogo della gratitudine, del rendimento di grazie. Non per ciò che Dio ci ha dato, ma perché Dio è Dio. Come lo sguardo d’amore di una madre verso il proprio figlio, così la nostra lode a Dio nasce dalla comunione profonda, dall’amore ricevuto.
Riconosciamo ora Cristo nell’Eucaristia. Anche se è difficile, proviamoci. Riconosciamolo nel volto dei fratelli, nelle differenze, nelle diverse spiritualità e cammini. È lì che Cristo si rende presente, ogni giorno.
11 ottobre 2025, Cattedrale della Santissima Trinità
+ S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni
