La comunità di Riccia ha accolto con entusiasmo il nuovo parroco, Padre Soy Sebastian, nella chiesa di S. Maria Assunta. Tra sorrisi, e abbracci, i fedeli hanno espresso tutta la loro gioia e la loro speranza per questo nuovo cammino insieme, un momento di profonda partecipazione che segna un passaggio importante per la vita spirituale e sociale della parrocchia.

Padre Soy Sebastian si è rivolto alla comunità con parole di vicinanza e disponibilità. I fedeli di Riccia pronti a condividere il nuovo cammino fatto di fede, ascolto e amicizia. Un momento semplice, ma ricco di emozione e significato, destinato a restare nel cuore di tutti i presenti come l’inizio di una nuova stagione di speranza e rinnovamento.

Omelia di S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni in occasione dell’ingresso di Padre Soy Sebastian nella parrocchia di Santa Maria Assunta di Riccia

L’UMILTÀ DELLA PREGHIERA E IL SERVIZIO DEL PASTORE NELLA COMUNITÀ CRISTIANA

Carissimi,

la Parola di Dio è la luce che deve guidarci in ogni circostanza e momento della vita. Non è mai casuale: essa parla a ciascuno di noi, anche oggi, e in modo particolare ai sacerdoti, ricordando che il centro della fede è la preghiera.

La preghiera autentica nasce da una fede vera e si caratterizza per la sua umiltà. Dinanzi a Dio, che è giudice e non fa preferenze nel senso umano del termine, l’umiltà diventa via di comunione. Dio ama tutti indistintamente, ma mostra una particolare predilezione per chi è povero e nel bisogno. È naturale: così come un genitore dedica più attenzione al figlio più fragile senza smettere di amare gli altri, così Dio volge il suo sguardo a chi soffre.

La Scrittura afferma che Dio non trascura la supplica dell’oppresso, dell’orfano, della vedova. Egli ascolta sempre la preghiera del povero. Per questo non bisogna mai dire: “Ho pregato e Dio non mi ha ascoltato”. Sarebbe un’offesa a Dio, come se non si curasse di noi. La preghiera umile sale al cielo, raggiunge il cuore di Dio; quella arrogante, come quella del fariseo, resta vuota.

Pregare con umiltà significa chiedere confidando nella libertà e nella volontà di Dio. Non si prega per pretendere, ma per affidarsi. La preghiera vera è gratuita, fiduciosa, paziente, certa che Dio ascolta ogni parola detta con amore. Non sempre Egli risponde secondo i nostri criteri, ma trasforma ogni preghiera sincera in grazia.

Ecco perché anche nelle grandi sofferenze del mondo — come la guerra, le ingiustizie, le povertà — la preghiera rimane necessaria. Forse non comprendiamo come agisca, ma sappiamo che Dio sa che farne. L’umiltà della preghiera sta proprio nella fiducia che Dio operi a suo modo, secondo il suo amore.

Il sacerdote, come Gesù che insegnò ai discepoli il Padre Nostro, deve insegnare a pregare. La sua prima missione è essere uomo di preghiera, riferimento per la comunità che gli è affidata. Le attività pastorali sono importanti, ma devono nascere dalla preghiera. Il vero pastore si mette in ginocchio, intercede per il popolo, lo porta davanti a Dio e ne chiede la protezione.

Il buon pastore non cammina davanti per farsi vedere, ma dietro, per custodire e sostenere chi è più debole. Se una pecora resta indietro, egli la porta sulle spalle. Così deve essere il ministero sacerdotale: umile, attento, servizievole.

L’umiltà è il cuore del servizio del prete, del vescovo, del laico. Essa nasce dalla consapevolezza che tutto è dono di Dio e che nulla ci mancherà se confidiamo in Lui. L’arroganza, invece, chiude alla grazia e rende sterile anche la preghiera più devota.

Il fariseo della parabola osservava la legge, ma pregava solo sè stesso, ringraziando Dio per non essere come gli altri. Il pubblicano, invece, riconosceva la propria miseria e diceva: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore”. Solo lui tornò giustificato. L’umiltà apre alla comunione, la superbia separa.

Ogni sacerdote deve chiedersi: il mio ministero è umile o arrogante? A volte il potere, la responsabilità, le scelte difficili possono indurci alla durezza. Ma il pastore è chiamato a servire, non a dominare. L’umiltà è la misura della sua fedeltà a Cristo.

La comunità, insieme al proprio parroco, deve formare una sola famiglia unita nella fede, nella speranza e nella carità. L’unità nasce nella celebrazione eucaristica, dove ogni rivalità e invidia vengono superate. Il sacerdote è chiamato a mantenere unito il gregge, a custodirlo nella comunione e nella pace, collaborando con gli altri sacerdoti e con la diocesi di appartenenza.

San Paolo ricorda che ogni ministero incontra prove e difficoltà: momenti di solitudine, di incomprensione, di stanchezza. Ma il Signore resta sempre accanto e dona la forza per continuare l’annuncio del Vangelo. Nelle prove non bisogna smarrirsi, ma combattere la buona battaglia della fede.

Quando la comunità cambia, quando arrivano nuovi sacerdoti, non bisogna legarsi agli uomini ma a Dio, che opera attraverso di essi. Le relazioni umane sono importanti, ma la fede deve restare al centro.

Il sacerdote deve custodire la comunità come una famiglia, e la comunità deve pregare per i propri sacerdoti, sostenerli e santificarli con la preghiera. Nella fede siamo tutti corresponsabili: preti e fedeli, uniti a Cristo che è il capo del corpo di cui tutti siamo membra.

Custodire, pregare, amare con umiltà: questa è la via del pastore, questa è la via della Chiesa.

26 ottobre 2025

+ S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni