Testimoni di un momento importante per la comunità parrocchiale di Campodipietra l’ingresso del nuovo parroco, don Aldo Vendemiati chiamato a guidare con cuore e dedizione i fedeli. Un passaggio spirituale profondo che apre una nuova fase della vita comunitaria. Ogni parroco porta con sé un cammino, una storia, una vocazione. E oggi questa storia si intreccia con quella della collettività, pronta ad accogliere con gioia e fiducia il suo nuovo pastore.

Un momento che unisce fede, speranza e attesa. L’accoglienza calorosa, la partecipazione sentita dei fedeli, segno di una comunità viva, pronta a camminare insieme con il suo nuovo pastore. A don Aldo rivolgiamo un augurio sincero. Ogni inizio è un dono, e questo giorno rimarrà scolpito nella memoria come un punto di partenza carico di speranza.

Omelia di S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni in occasione dell’ingresso di Don Aldo Vendemiati nella parrocchia di San Martino Vescovo Campodipietra – 12 Ottobre

LA FEDE CHE GUARISCE E COSTRUISCE LA COMUNITÀ

Carissimi,

la Scrittura è il punto di riferimento per la nostra vita cristiana. Essa ci indica quale deve essere la nostra fede in Dio: non una semplice emozione o la ricerca di ciò che desideriamo ottenere da Lui, ma qualcosa di più profondo. Oggi ci vengono presentate due figure emblematiche: Naamàn, il Siro, e dieci lebbrosi. Entrambi chiedono la guarigione, pur non appartenendo al popolo di Israele.

Naamàn vive in un contesto culturale dove si crede che solo maghi o interventi straordinari possano guarire. Affetto dalla lebbra, spera che qualcuno lo salvi, pur senza certezze. Altri gli indicano una via: come ogni cristiano è chiamato a indicare la strada verso Dio, così qualcuno gli dice di andare in Giudea, dove un profeta potrebbe guarirlo. È una giovane schiava a suggerirgli questo, ed egli, pur dubbioso, decide di partire.

Giunto in Giudea, si presenta al re, che fraintende la sua visita come un atto politico e non lo accoglie. Naamàn sta per tornare indietro, ma i suoi collaboratori insistono: “C’è davvero un profeta che può guarirti”. Finalmente va, ma non incontra direttamente il profeta. Gli viene soltanto detto: “Vai nel fiume Giordano, immergiti sette volte e sarai guarito”. Naamàn si aspettava accoglienza, un rito solenne, una cerimonia straordinaria. Invece, un semplice gesto.

Inizialmente scettico – anche lui ha fiumi nella sua terra, e non guarirebbe certo immergendosi lì – alla fine si lascia convincere. Si cala nel Giordano e guarisce.

La sua non è solo una guarigione fisica, ma del cuore. Naamàn comprende di trovarsi davanti a Dio. Vuole portare con sé la terra di Israele, per rendere sacro il luogo in cui abita. Perché ogni luogo abitato da Dio diventa sacro. Ma Dio non abita solo in una terra simbolica: abita nella nostra vita. E noi dobbiamo lasciarlo entrare, perché ci aiuti a crescere nella fede.

Nel Vangelo, dieci lebbrosi si avvicinano a Gesù da lontano e gridano: “Gesù, abbi pietà di noi”. In quel tempo, la malattia era vista come conseguenza del peccato. E la lebbra, considerata contagiosa, costringeva all’isolamento. Gesù non li guarisce immediatamente, ma dice loro di andare a presentarsi ai sacerdoti, che avevano il compito di certificare la guarigione. E mentre vanno, tutti e dieci guariscono.

Ma solo uno torna indietro, loda Dio, riconosce Gesù, si prostra davanti a lui. Solo uno comprende davvero. Cos’è accaduto in Naamàn e nel lebbroso samaritano? Hanno mostrato fede. Non una fede scontata o abitudinaria, come quella di chi si fa il segno della croce passando davanti a una chiesa, o si affida a Dio solo in certe circostanze. Spesso diciamo: “Credo in Dio, speriamo che mi aiuti…”. Ma questa è vera fede? O rischia di diventare una pratica magica, interessata, superficiale, legata all’umore o al tempo che abbiamo?

Incontrare Gesù significa fare un’esperienza profonda, piena, radicale. La fede è una relazione con Dio basata sulla fiducia. Una fiducia totale, come in un amore autentico: non si ama perché si riceve, ma perché si ama. Un amore così è capace di superare dubbi, difficoltà, sofferenze. Perché si basa su una fede certa.

Se siamo capaci di un amore così per le persone che amiamo, perché non per Dio?

Ecco allora l’invito: ad avere una fede certa. Tutti e dieci i lebbrosi sono stati guariti, ma solo uno ha mostrato di aver capito. Dio dona la salvezza, l’amore, l’amicizia, ma attende da noi una risposta libera e responsabile.

La seconda lettura ce lo ricorda con le parole di Paolo: “Questa parola è degna di fede”. Non è una parola qualsiasi, ma la Parola di Dio. E io mi fido di Dio. La fede non può dipendere dai risultati: “Credo se ottengo qualcosa”. No. Come in un amore vero: si ama senza condizioni. È questa la fede che ci viene chiesta.

Oggi, come comunità che accoglie il nuovo parroco, siete invitati a vivere una fede incarnata, vissuta, radicata nell’appartenenza. Don Aldo è chiamato a vivere qui il suo ministero. Il suo dono di sé si realizza in mezzo a voi. Certo, per la Chiesa intera, per ogni uomo, ma in particolare per questa comunità.

Nel rito che avete celebrato ci sono gesti e parole ricchissime. Ad esempio, la consegna delle chiavi. Non sono solo quelle della porta della chiesa, ma della comunità. È un gesto che apre il cuore: il cuore del parroco verso di voi, il cuore vostro verso di lui. È un passaggio da cuore a cuore. È l’inizio di una relazione pastorale.

Questo è il suo dono a voi. E a voi è fatto, per grazia di Dio. Dio Padre, Cristo Pastore, lo Spirito Santo che vi sostiene nell’unità e nella carità.

Ogni cambiamento è una novità, richiede a tutti di rimettersi in gioco. Non per curiosità o per “vedere com’è il nuovo parroco”, ma per scoprire cosa lo Spirito Santo sta facendo di nuovo nei cuori, nella comunità, in questo sacerdote.

Dio propone sempre qualcosa di nuovo. Noi lo comprendiamo tardi, ma Lui sa di cosa abbiamo bisogno. La festa di oggi è festa della fede, della continuità, della Chiesa che cresce. I sacerdoti possono cambiare, la comunità può variare, ma la fede, la comunione, l’Eucaristia restano. Sono sempre le stesse, perché è Cristo a costruire la comunità. Lui è il vero Pastore.

E attraverso il pastore nominato, attraverso voi, che siete gregge, Dio costruisce un cammino di santificazione.

Per questo, invochiamo lo Spirito Santo, affinché parroco e parrocchiani formino una sola famiglia, unita nella fede, nella speranza e nella carità. Non solo per mangiare insieme o scherzare – anche queste cose sono belle, servono – ma perché si condivida davvero, nella profondità della fede.

Qui si vedrà che comunità ha trovato Don Aldo. Qui si vedrà che sacerdote è Don Aldo. Se Don Saverio ha seminato bene, oggi vedremo i frutti. Se crediamo che è in Paradiso, sappiamo che può fare ancora di più per voi, ora che è presso il Signore.

Oggi, la vostra comunità deve essere una comunità di fede, come quella di Naamàn e del samaritano. Due stranieri, eppure capaci di mostrare vera fede.

Una sola famiglia raccolta nell’Eucaristia, perché la comunità con il suo sacerdote cresca e si edifichi.

Al termine dell’omelia, vi sarà un momento forte: Don Aldo rinnoverà le promesse della sua ordinazione. E lo farà davanti a voi, in questa comunità. Rinnova oggi la sua consacrazione, il suo donarsi a Dio in mezzo a voi.

Non potete chiedere di più. Il dono della sua vita, egli lo fa pienamente, nel presbiterato, con sincerità.

Ascoltate le promesse: egli si impegna a essere cooperatore dei vescovi, nel ministero della Parola, della celebrazione eucaristica, della riconciliazione, della preghiera, nell’unità in Cristo per la salvezza di tutti.

A voi è affidato il suo ministero, e voi, come gregge, siete affidati a lui. Sostenetevi a vicenda nella preghiera. Fate un piccolo impegno: almeno per una settimana, ogni giorno, pregate per Don Aldo. Poi, se riuscite a continuare, meglio ancora.

Nella preghiera reciproca, nella vostra fede, il Signore farà sì che siate una comunità serena, in cammino verso la salvezza.

12 ottobre 2025

 

+ S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni