Celebrato nella Cattedrale della Santissima Trinità di Campobasso, il Giubileo delle Aggregazioni Laicali dell’Arcidiocesi di Campobasso–Bojano è stato un’intensa esperienza di fede, comunione e testimonianza. Un vero dono di grazia: segno della gratuità dell’amore di Dio che, attraverso lo Spirito Santo, anima la vita della Chiesa e dei laici, suscitando carismi, vocazioni e impegno al servizio del Vangelo.
L’evento ha offerto a gruppi, movimenti e associazioni laicali un’occasione preziosa per riscoprire la bellezza della comunione ecclesiale e rinnovare lo slancio missionario, portando nel mondo la luce del Vangelo attraverso il carisma di ciascuna realtà.
Omelia di S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni in occasione del Giubileo delle Aggregazioni Laicali, Chiesa Cattedrale della Santissima Trinità a Campobasso. Sabato 11 ottobre 2025
Carissimi,
rivolgo innanzitutto un saluto al vicario generale, al parroco della cattedrale, ai sacerdoti, ai diaconi e a tutti coloro che prestano servizio. È bello notare come, prima con il Rosario insieme alle diverse aggregazioni locali e ora con la presenza degli scout, si manifesti visibilmente l’unità della Chiesa. Unità che si esprime nella partecipazione e nella condivisione dell’unica fede in Gesù Cristo, nostro Signore. Questo è un segno che non va mai trascurato, ma anzi, valorizzato come testimonianza della forza della Chiesa nel mondo.
Se non sappiamo vivere l’unità, la fraternità e la comunione davanti a Dio, non possiamo essere autentici testimoni di Cristo. Cristo non si può dividere, e noi siamo il suo corpo: la Chiesa. Solo nella sua unità possiamo annunciare il Vangelo al mondo e favorire la conversione.
La prima lettura ci presenta la figura di Naman, un uomo malato di lebbra che aveva probabilmente già cercato guarigione da vari guaritori, tutti a pagamento, attraverso riti magici o esorcismi. Non aveva più fiducia. Eppure, la via della salvezza gli viene indicata da una persona semplice: una schiava, che gli parla di un profeta in Israele. Questa scena ci ricorda che ciascuno di noi può essere uno strumento per indicare agli altri la strada verso Dio.
Naman parte con aspettative alte: si aspetta riti straordinari, accoglienze solenni. Ma accade tutt’altro. Il re d’Israele si spaventa e pensa che ci sia un secondo fine. Solo grazie all’insistenza dei suoi servi, Naman si reca dal profeta Eliseo, il quale non lo riceve nemmeno di persona, ma gli manda a dire di bagnarsi sette volte nel fiume Giordano. Naman inizialmente rifiuta, ma alla fine obbedisce. E guarisce.
Nel Vangelo, anche i dieci lebbrosi gridano a Gesù chiedendo misericordia. Vengono tutti guariti, ma solo uno torna a ringraziare. Solo lui si salva. Questo ci insegna che la guarigione esteriore può toccare tutti, ma la salvezza è legata alla fede. È la fede che trasforma la guarigione in salvezza, ed è ciò che accade anche a Naman, che riconosce il Dio d’Israele come unico Signore.
Quante volte anche noi diciamo: “So che Dio esiste”, eppure subito dopo ci lamentiamo: “Dov’è Dio? Perché non interviene?” Ci abbandoniamo a un’idea di Dio simile a quella di un taumaturgo, un mago pronto a risolvere i nostri problemi, quando invece il Dio cristiano è quello rivelato da Gesù Cristo: un Dio che dona se stesso nella storia, che si affida alla fede dell’uomo.
La fede non è mai qualcosa di scontato. È un dono gratuito di Dio. Nei momenti difficili, quanto sappiamo viverla davvero? La fede in Cristo passa anche attraverso la fede nella Chiesa, fatta di persone comuni, imperfette, come lo sono i sacerdoti, i parroci, o anche il vescovo stesso. Ma è questa la Chiesa, e noi siamo parte di essa.
Non si è cristiani “migliori di altri” perché si appartiene a un’associazione, a un movimento o a un gruppo ecclesiale. Si è cristiani perché, insieme, si è corpo di Cristo. È la fede personale, vissuta nella comunità, che rende viva la Chiesa. Se manca questo, resta solo una religione vuota, senza fede.
Purtroppo, anche oggi rischiamo di vivere una fede solo esteriore: partecipiamo alla Messa, ma per abitudine. Recitiamo preghiere, ma senza il cuore. In realtà, anche i gesti abituali possono essere portatori di vita, se animati da un cuore che si dona ogni giorno.
Naman voleva offrire doni a Eliseo in cambio della guarigione, ma il profeta li rifiuta. Perché la salvezza è un dono gratuito. Anche noi, per quanto preghiamo o partecipiamo alle celebrazioni, non possiamo mai “meritare” la grazia: possiamo solo accoglierla con cuore aperto.
Se questo non accade, allora anche la nostra preghiera rischia di diventare un rituale magico vuoto, privo di significato. I nove lebbrosi guariti non tornano da Gesù: erano stati guariti, sì, ma non hanno riconosciuto il Salvatore. La loro fede era ancora legata alla legge, alla forma. Solo uno di loro, un samaritano, coglie che in Gesù c’è Dio, e per questo è salvato.
Per crescere nella fede, dobbiamo educarci alla Parola. San Paolo ci dice che questa Parola è degna di fede. È una parola che libera, che non può essere incatenata, che dona senso alla vita. Una parola che, se ascoltata con perseveranza, ci guida a vivere con fede autentica.
Il miracolo non basta: ciò che conta è il cammino della fede. Dio compie miracoli ogni giorno, ma spesso non ce ne accorgiamo. Perché Dio è discreto, umile, nascosto. Non ci mette davanti i cartelli per ricordarci i suoi interventi. Li comprendiamo solo nella fede. E allora nasce spontaneo un ringraziamento puro, non per ripagare, ma perché è naturale lodare Dio per ciò che è, non solo per ciò che fa.
Anche noi, in questo momento giubilare, siamo entrati in chiesa attraversando una porta: un gesto simbolico che esprime il desiderio di conversione. Chi può dirsi già arrivato nella fede? Nessuno. Tutti abbiamo bisogno di camminare con le nostre fragilità, chiedendo a Dio che ci guarisca continuamente con la sua grazia.
Questo cammino non avviene in modo straordinario, ma nella quotidianità, mentre viviamo la nostra vita. Come accadde ai lebbrosi, anche noi possiamo essere guariti lungo la strada, riconoscendo che Dio è presente nella nostra storia.
La nostra speranza ha un nome: Gesù Cristo. Il Giubileo ci ricorda che la speranza non delude, perché non si basa su noi stessi, ma sulla salvezza offerta da Dio attraverso suo Figlio. Ed è proprio l’Eucaristia il mistero della salvezza a cui possiamo accostarci: fonte di comunione personale e comunitaria, che apre il cuore all’incontro, alla condivisione, al riconoscere Cristo nel volto degli altri.
L’Eucaristia è il luogo della gratitudine, del rendimento di grazie. Non per ciò che Dio ci ha dato, ma perché Dio è Dio. Come lo sguardo d’amore di una madre verso il proprio figlio, così la nostra lode a Dio nasce dalla comunione profonda, dall’amore ricevuto.
Riconosciamo ora Cristo nell’Eucaristia. Anche se è difficile, proviamoci. Riconosciamolo nel volto dei fratelli, nelle differenze, nelle diverse spiritualità e cammini. È lì che Cristo si rende presente, ogni giorno.
11 ottobre 2025, Cattedrale della Santissima Trinità
+ S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni
