Una giornata che profuma di riconoscenza e di festa. La Chiesa Madre di Vinchiaturo si stringe attorno a don Peppino Cardegna per celebrare i suoi 25 anni di sacerdozio: un cammino fatto di volti, di storie, di preghiere condivise. Venticinque anni vissuti accanto alla Parola, accanto all’Eucaristia, accanto a ciascuno incontrato lungo la strada…

Un ministero fatto di passi silenziosi e mani tese, di ascolto paziente e presenza fedele. Nelle parole di S. Ecc. Mons. Colaianni, l’essere sacerdote è dire “sì” ogni giorno. Anche quando il cammino diventa faticoso. È farsi ponte tra cielo e terra, è spezzare il pane e accendere speranze, è restare accanto alla gente donando una presenza che non abbandona. Ogni anniversario è memoria viva e promessa: ricorda il dono ricevuto, illumina la strada che ancora attende.

Omelia di S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni

SERVO PER AMORE: 25 ANNI DI SACERDOZIO DI DON GIUSEPPE CARDEGNA

Carissimi, 

saluto le autorità civili e militari presenti, poi tutti i docenti, i colleghi di don Giuseppe, i dirigenti scolastici e la comunità che lo sostiene, sia quella qui presente sia le altre venute dalle comunità che ha precedentemente incontrato. Saluto i confratelli che partecipano a questa celebrazione, insieme ai diaconi e ai ministranti.

E poi, caro don Giuseppe, un saluto a te in questo giorno così particolare nel quale fai memoria di quello che è stata la tua vita quando ti sei determinato a fare della tua vita un’offerta a Dio e un servizio continuo a lui e a quanti ti ha affidato nel tuo ministero. È un momento importante perché l’attenzione sarà rivolta sicuramente a quanto tu ti sei speso, a quanto hai fatto, a come sei stato capace di esprimere la presenza di Dio in mezzo agli uomini con il tuo servizio. Ma ancor più bisogna sottolineare quanto Dio ha fatto in te, perché è Dio colui che ti ha chiamato. L’uomo risponde a quello che Dio chiede. E quindi c’è la tua generosità, ma è Dio che chiama e Dio, quando chiama, sa perché chiama e qual è il fine che realizza attraverso coloro che chiama.

Non sempre si percepisce la presenza di Dio nella nostra vita. Infatti la prima lettura è una lamentela e un rimprovero a Dio, netto. Il contesto è quello della Babilonia: il popolo, il regime babilonese che si espande e devasta dall’interno il popolo di Israele; c’è violenza, il popolo ebraico è disorientato. E di fronte a tutto questo la domanda è: “Ma Dio che fa? Quale ruolo ha Dio nella storia? Perché non salva? Dio è indifferente, si disinteressa, spettatore; non ascolta. Ci sono guerre e lui sta a guardare tutto il male che si compie.”

Questo succedeva molto prima di Gesù, nei secoli passati. Oggi è la stessa cosa per molte persone. Chi di voi non si è chiesto: “Ma perché Dio non interviene? Perché non fa sì che le cose cambino?” Allora c’è il rischio che la lamentela a Dio continui anche oggi, nei contesti di guerra, povertà, prevaricazione, violenza, disinteressi e disattenzione, specialmente verso chi è nel bisogno. C’è il rischio che ancora una volta attribuiamo a Dio la responsabilità dell’insensatezza e della violenza delle quali sono capaci gli uomini.

Anche oggi assistiamo a quanti sono sordi all’ascolto della parola di Dio, indifferenti alla sua presenza; e i contesti di guerra lo dimostrano pienamente. Ma allora: quando Dio interviene? Intanto la Sacra Scrittura ci orienta verso ciò che spesso è poco sottolineato: Dio vuole la salvezza dell’uomo. E la salvezza dell’uomo non è del tutto “adesso”, se non in parte. La salvezza che Dio dona è per il paradiso, per la vita eterna. Dio attende e interviene con l’uomo in vari modi, ma l’intervento finale sarà il dono della vita eterna.

Come interviene Dio? È un mistero. Quando interviene non annuncia la sua presenza via social, non manda un messaggio: “Guardate che sto intervenendo per evitare che muoiano 10 persone…” Non ostenta il suo amore, la sua salvezza. Allora: come interviene? Se pensate che don Peppino sia un bravo sacerdote, ecco una risposta. Se pensate che sia semplicemente un uomo con buone parole, bene che ben venga, è una relazione umana preziosa. Ma se cogliete in lui il suo essere presbitero, il suo essere segno della presenza di Dio tra gli uomini, segno della continua salvezza che Dio vuole per tutti, allora lo celebriamo non solo come persona ma come sacerdote.

Rispetto alla domanda “Dio, che fai? Non intervieni?” ecco la risposta: un uomo tra tanti. Dio ne sceglie molti. Ha scelto lui per un ministero, vi sceglie voi genitori, voi educatori, voi con responsabilità pubbliche. Dio ci invita ad operare il bene: questo è il segno della salvezza che Dio compie. Non è Dio che si disinteressa, che ascolta male, che non vuole salvare. Dio rimane fedele a se stesso, fedele alle promesse già fatte nell’Antico Testamento, fedele in Cristo, fedele attraverso la Chiesa.

In questa luce va letta la figura sacerdotale di don Giuseppe. Nella vita sacerdotale hai sperimentato lamentele, contestazioni: “Che fai? Come ti comporti? Come salvi? Come vai vicino alla gente?” La tua consapevolezza, don Giuseppe, sia sempre il servizio al Signore che ti indica come servire tutti coloro ai quali sei chiamato. In questo sii fiducioso.

Dopo 25 anni certamente hai fatto bilanci — ieri, stamattina, nei giorni futuri — ma che il tuo consuntivo sia davanti a Dio, a partire da Dio. “Signore, come 25 anni fa, il mio cuore è tuo, la mia mente è tua, il mio animo è tuo, tutta la mia vita è data a te. Fanne ciò che vuoi.” Nonostante le difficoltà, le sofferenze, puoi dire: “Sono tuo”, perché tu lo vuoi, e con il tuo amore puoi colmare i limiti.

La risposta la lasciamo alla Scrittura, che sostiene il sacerdote. Tante attività pastorali, culturali, variegate, ma il sacerdote è sostenuto dalla parola di Dio che in lui diventa educante per il ministero. E come educatore, anche nella scuola, con i colleghi, educa a riportare tutto al Signore, che non solo ci chiama, ma diventa risposta alla nostra vita.

E il Signore che dice? Guardiamo a chi siamo e a quanto ci ha donato. Ravviva il dono della fede che è in te. Ogni tanto rischiamo di essere stanchi, disorientati, di volerci fermare, sentirci sconfitti. Ma se fossimo staccati da Dio? Dio non solo apre alla speranza, ma rende viva la speranza, grazie al dono dello Spirito Santo.

È lo Spirito Santo che ha consacrato don Peppino, che lo anima, che in ogni celebrazione diventa nutrimento. E quando è davanti al Vangelo, alla Scrittura, ispira ciò che Dio vuole da lui. Ravviva il dono di Dio che è in te: il sacerdozio. Su di te furono imposte le mani: mani che sono protezione, custodia, che imprimono su di te la volontà di Dio e il dono dello Spirito. Che ti diano forza, carità, prudenza; qualità non solo umane, ma sostenute dalla Parola di Dio e da Dio stesso. Esse sostengono il tuo essere sacerdote per chi ti è affidato. Questo vale per ognuno di noi.

Mai vergognarsi di essere cristiani, di dire “Io credo in Dio, mi fido di Dio, mi appoggio al Signore”, anche quando le cose non vanno, anche quando la malattia arriva e sembra che Dio non ascolti. Non è la fede superficiale che ci è chiesta. Ci è chiesta profondità, una fede che non si vergogna, che non si considera inefficace. “Custodite mediante lo Spirito Santo che abita in voi il bene prezioso che vi è stato affidato.” Qual è quel bene prezioso? È Dio stesso, è l’amore di Dio, è la fraternità, è la capacità di avvicinarsi a chi ha bisogno. Questo è il valore della nostra fede.

Don Giuseppe è risposta a ciò che Dio chiede: è testimone. Lo Spirito agisce in lui, è modello d’amore, lo testimonia ogni giorno, in parrocchia e nella scuola. I ragazzi lo percepiscono; voi colleghi vedete la sua funzione educativa, la sua presenza. Senza ostentazione, con la parola, con la vicinanza, è modello e testimone dell’amore di Dio. È la risposta di Dio al mondo giovanile, al contesto della scuola che ha la funzione di formare nei valori civili, nei valori umani e nella fraternità con tutti.

Non è facile. Don Peppino, conosciamo il tuo entusiasmo, la tua propositività, ma magari ci sono stati momenti in cui hai detto: “Chi me l’ha fatto fare? Non ce la faccio.” Avrai pensato di fermarti, rallentare, dare il 50%. Ti sarà venuto qualche dubbio anche sul Signore. A voi genitori, docenti, dirigenti non viene il dubbio su dove stiamo portando i giovani? Cosa stiamo dicendo? Siamo stanchi, abbiamo debolezze. Ma esprimerle deve essere davanti a Dio, non in piazza, non al bar. Davanti a Dio possiamo confidare le nostre fragilità, ma con una sola parola: “Signore, accresci la mia fede.”

Altrimenti diventa una lamentela che rende Dio responsabile. Invece chiediamo che Dio supplisca le nostre fragilità, i momenti di stanchezza, le sofferenze. Perché crediamo profondamente in Lui, poggiamo anche nei momenti difficili. Signore, accresci in noi la fede: questa è la richiesta fondamentale che ciascuno deve rivolgere a Dio.

La fede va coltivata, non è un deposito da lasciare fermo. Deve crescere, alimentata dall’amore di Dio e dalla sua presenza nella nostra vita. Il Signore dice: “Dovete fidarvi di me.” E prende l’esempio del granello di senape: così piccolo che nel palmo scompare, ma che cresce e diventa grande, dà ombra e riparo. Se avete fede, quanto piccolo, io lo trasformo in molto.

Don Peppino, chi eri e chi sei? Senza il sacerdozio probabilmente avresti avuto un’altra vita: papà di famiglia, commerciante, operaio. Ma davanti a Dio, oggi sei ciò che sei grazie a Lui: persona consacrata che, pur con limiti, può donare Dio agli altri. Quando indossi i paramenti nella celebrazione dell’eucaristia e poni le mani sul pane e sul vino, li trasformi in corpo e sangue di Cristo. Quando assolvi nel confessionale, è Dio che assolve. Tu sei strumento nelle mani di Dio. Questo accade con un piccolo seme: Dio rende possibile ciò che sembra impossibile.

Vesti la persona di Cristo e, anche uscendo, resti sacerdote: uomo tra gli uomini, ma sacerdote in mezzo agli uomini. Mai dimenticare questo. E di fronte a un dono così grande, quale risposta? Il Vangelo parla del servo che serve per dovere. Quando il padrone paga, non può chiedere altro. Ma il Signore va oltre: il servizio deve essere gratuito. Siamo servi inutili. Perché inutili? Perché il seme non è frutto, ma deve crescere e dare frutto. Sii sempre quel seme, consapevole che produrrà frutto perché Dio ti ha chiamato a essere servo.

La tua utilità la racconterà Dio, attraverso la vita che conduci. Lo fai anche nella scuola con i tuoi colleghi: seminare gli uomini del domani, uomini e donne che guideranno la società. Non sempre vedi subito il frutto. A volte il ragazzo più trascurato diventerà grande. La vita ci chiama a seminare con fede, sapendo che è bene in sé. Sii sacerdote gratuito: devi dare, e basta. Se non ricevi gratificazioni, ricorda: sei un servo inutile. In quei momenti: “Signore, accresci la mia fede. Ti ringrazio per il dono del sacerdozio.”

Voi tutti oggi, con i vostri auguri, ringraziate il Signore: non per voi, non per l’amicizia, ma perché don Giuseppe è sacerdote per il mondo intero e per la salvezza di tutti. Quando impone le mani trasforma pane e vino in corpo e sangue di Cristo. Anche se molti non ricevono la comunione oggi, quel mistero avviene attraverso la persona di don Giuseppe ed è salvezza per il mondo intero, per l’umanità. Come? Rimaniamo nel mistero. Accontentiamoci di ciò che ci è rivelato.

Don Peppino, compi sempre nel tuo ministero questa azione di salvezza per il mondo intero, per tutta l’umanità che Dio ti ha affidato alle mani povere ma al cuore capace di offrirsi e riconfermarsi. Oggi, in questa eucaristia, rinnovi il dono pieno di te stesso. Che la salvezza che celebri oggi raggiunga soprattutto quei contesti di guerra dove la gente attende salvezza. E noi cristiani, oltre ogni manifestazione, siamo chiamati alla preghiera affinché anche il seme piantato in acqua marina possa dare frutto. Che la nostra preghiera, piantata nel cuore di Dio, possa generare salvezza, bene e sollievo per chi soffre la guerra e la fame. Gli uomini che si lamentano di Dio sono comunque i primi responsabili.

5 ottobre 2025, Parrocchia S. Croce di Vinchiaturo

+ S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni