La città di Campobasso si prepara anche quest’anno a celebrare San Giorgio, suo Santo Patrono, in una ricorrenza da sempre vissuta con profonda partecipazione da tutta la comunità.

In segno di rispetto per la recente scomparsa del Santo Padre Papa Francesco, il programma dei festeggiamenti subirà alcune modifiche: non si terranno eventi civili né manifestazioni pubbliche, ma sarà mantenuto esclusivamente il momento liturgico.

Il cuore della celebrazione sarà la Santa Messa Solenne, in programma mercoledì 23 aprile alle ore 17:00 presso la Chiesa di San Giorgio. La liturgia sarà presieduta da S.E. Mons. Biagio Colaianni, concelebrata dai sacerdoti della città e animata dal Coro Parrocchiale, con la partecipazione di diaconi, religiosi, religiose, gruppi ecclesiali, autorità civili e militari e dell’intera comunità dei fedeli.

Sarà un’occasione di raccoglimento e preghiera, durante la quale si eleveranno intenzioni anche per l’anima di Papa Francesco, unendosi al cordoglio della Chiesa universale in questo momento di lutto.

Un momento di fede, silenzio e devozione, nel rispetto del dolore che accomuna l’intera comunità cristiana.

Omelia di S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni in occasione della festa di San Giorgio Patrono di Campobasso 23 Aprile 2025 – Chiesa di S. Giorgio a Campobasso
 

NEL NOME DI CRISTO: SGUARDI, INCONTRI E RISURREZIONE

Pietro e Giovanni stanno per entrare nel tempio per pregare. Uno storpio è davanti alla porta e chiede loro di essere aiutato. Loro chiedono a Dio di essere aiutati, e lo storpio chiede a loro di essere aiutato.

C’è una caratterizzazione che spesso viene riportata nella Scrittura: lo sguardo. Il guardare è incontrare l’altro. Ed ecco che allora Pietro, fissandolo, gli dice: “Quello che ho, te lo do”. Questo fissare è entrare in comunione, in relazione, è farsi carico, interrogarsi, voler conoscere l’altra persona. Un po’ come Papa Francesco faceva: raggiungeva con lo sguardo i suoi interlocutori prima ancora di stringere loro la mano, perché incontrava, si faceva carico, prendeva presso di sé le persone che incontrava. E nella carità compiva quanto il Signore chiede e dice nella Sacra Scrittura, nel Vangelo, in particolare per tutti quanti noi.

Allora è questo l’atteggiamento da avere: incontrare le persone non in modo superficiale, ma incontrarle nel profondo, farsene carico, entrare in relazione e rispondere a quelle che possono essere le loro necessità, per poi presentarle al Signore. Sì, perché il Signore c’entra in quello che Pietro fa. Ogni miracolo, ogni benedizione di Dio è sempre di Dio. Anche i santi – anche San Giorgio – sono intercessori delle grazie che il Signore dà. I santi sono per questo dati a noi: come esempio e come mediatori costanti, perché raccolgono le nostre preghiere, le nostre invocazioni, le presentano a Dio con la forza della loro testimonianza e della loro coerenza di vita. Questo permette di poter chiedere a Dio di intervenire e intercedere per noi.

Quindi, nel nome di Cristo, Pietro può dire: “Quello che ho, te lo do”. Noi abbiamo vissuto il Triduo Pasquale, abbiamo vissuto un tempo di Quaresima, tutto orientato ad accogliere quanto il Signore voleva donarci. Terminata la Pasqua – anche se siamo nell’Ottava di Pasqua e quindi ogni giorno celebriamo la Pasqua come ogni domenica – bisogna chiedersi: “A me, il Signore, cosa ha dato? Io cosa devo dare agli altri?”

Posso dare una somma di soldi? Sempre limitata, perché non possiamo svuotarci le tasche per i poveri. Il povero ci serve, anche, perché ci permette di dire: “Sono capace di carità”. Ma farsene carico è un’altra cosa. Poi abbiamo le persone attorno che magari ci chiedono insistentemente alcune cose, e noi siamo buoni perché siamo pazienti: una volta, due volte, tre volte. Ma c’è un limite a tutto. Per cui, quando uno esagera, lo mandiamo via. Poi, una persona che non conosciamo, dopo che l’abbiamo scrutata con sospetto e con la giusta attenzione – anche dovuta – dobbiamo decidere se accoglierla o meno.

Il nostro Signore Gesù Cristo dà a tutti quanti noi. Ha dato la grazia del Battesimo, ci dà – come ascoltiamo nel Vangelo, nella Sacra Scrittura – la sua vicinanza, la sua amicizia. Non ci chiede né la carta d’identità, né la patente, né se siamo santi o meno. Nostro Signore Gesù Cristo ha donato se stesso per ognuno di noi, indistintamente. Non a uno di più e a uno di meno: per ognuno. Se lo accogliamo.

Ed ecco allora che dobbiamo chiederci: “Il Signore, in questa Pasqua che ho celebrato, che ho preparato con il tempo di Quaresima – quindi un bel po’ di tempo – io cosa ho ricevuto da Dio?” Perché quando poi il Signore, con l’esempio di Pietro, ci dice che anche noi dobbiamo donare, Pietro dice: “Quello che ho, te lo do”. Ma lui aveva quello che il Signore gli aveva dato. Nel nome del Signore ha compiuto, ha vissuto, ha incontrato il povero, lo ha aiutato.

Il Signore, a noi, cosa ha dato? Cosa possiamo dare agli altri di ciò che il Signore ci ha donato? Beh, certo: il Signore non dà denaro, potere, gloria… ma dà tante altre cose. Dà un cuore capace di accoglienza, dà un cuore sensibile, ci rende capaci di fraternità, ci rende attenti alle necessità degli altri. Allarga il nostro cuore, ci mette in dialogo con Lui, ci permette di comprendere, di prendere parte – almeno per quanto Lui desidera – alla sua divinità. Siamo tutti battezzati. La maggior parte, quasi tutti, saremo cresimati anche. Abbiamo il dono dello Spirito Santo.

“Cosa mi dà il Signore che io posso dare agli altri?” Questo è importante che noi lo consideriamo. Perché, in fin dei conti, quello che noi diamo agli altri, se proviene da Dio, determina qualcosa di straordinario. Determina che lo storpio non solo guarisce, ma entra nel tempio con loro. E allora sono in tre: Pietro, Giovanni e lo storpio guarito che si rivolgono a Dio. Il popolo vede. Perché in questo incontro di sguardi – che era farsi carico dell’altro, amandolo – anche il popolo ottiene una nuova capacità di vedere. Quella a cui siamo chiamati per vedere il Risorto, che abbiamo celebrato nel Triduo Pasquale.

Una cosa è chiara: anche per le tradizioni e i riti, il Venerdì Santo è sempre più frequentato della stessa celebrazione della Pasqua. Coinvolge molta più gente. Perché? Perché l’esperienza della morte è concreta. Chi di noi non ha perso una persona cara? Ha sofferto, ha pianto, e ancora oggi ha ferite che ogni tanto vanno lenite. La sofferenza per la perdita è sempre grande. La morte è evidente, si impone alla nostra vita. La risurrezione, invece, è più difficile da vedere. È una speranza che sembra lontana, rimandata alla fine del mondo.

Ma Gesù Cristo è risorto. Ha vinto la morte. È vivente in mezzo a noi. Oggi si tratta di imparare a riconoscerlo, a vederlo, a comprenderlo e a lasciarsi aiutare a vivere cristianamente, nella fraternità.

Il Vangelo di Emmaus racconta che Gesù si fa compagno di viaggio dei discepoli che tornavano a casa, delusi. Si aspettavano grandi cose: pensavano che Gesù avrebbe capovolto la storia, cacciato i romani, cambiato il mondo. Nulla è accaduto come loro pensavano, e tornano a casa amareggiati. È lì che il Signore li incrocia: nel loro dolore, nella loro delusione. Gesù si accosta agli uomini là dove essi vivono, soprattutto nella difficoltà, nell’angoscia, nella paura, nella povertà. Lì Dio incontra l’uomo.

Proprio come Papa Francesco, che ha testimoniato il Cristo risorto vivendo il Vangelo, innamorato di Gesù, partendo da Lui e restando sempre aperto a tutti. Ha mostrato Cristo risorto ai poveri, agli ammalati, ai dimenticati. Ecco perché lo riconosceva e lo faceva riconoscere.

Anche i discepoli di Emmaus, mentre camminavano, non riconoscevano Gesù pur avendolo accanto. C’è bisogno di vedere con gli occhi del cuore, con gli occhi della fede. Ed ecco allora che il Signore Gesù si ferma con loro, racconta loro le Scritture. “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre ci parlava lungo la via?”, diranno poi. Ma non basta. Il Signore resta con loro, spezza il pane, e in quel gesto – nel pane spezzato – lo riconoscono.

Grazie al dono dello Spirito Santo che riceveranno, lo riconoscono nella Scrittura, lo riconoscono nell’Eucaristia. E noi oggi? Lo vediamo o non lo vediamo il Risorto? La Scrittura ci è data, bene o male la conosciamo, abbiamo la possibilità di meditarla, non solo leggerla come un raccontino, ma meditarla davvero. Ci è data l’Eucaristia, che è l’incontro col divino, accogliere il Signore Gesù che si dona a me, a ognuno di noi, ai poveri – e io stesso sono povero e peccatore – quindi si dona a me, e io devo riconoscerlo.

Lui è presente nella mia vita. E quando gli apostoli iniziano a comprenderlo, accade qualcosa di straordinario: proprio allora, quando stanno capendo chi è questo che hanno incontrato, che si è fermato con loro, ha condiviso il pane… sparisce. Sì, proprio nel momento in cui lo riconoscono, sparisce dalla loro vista.

Avrebbero potuto dire: “Signore, resta con noi, che bello rivederti! Siamo contenti, continuiamo a vivere insieme!”. Invece, sparisce. Ma forse perché il Signore vuole che impariamo a vederlo presente nella nostra vita costantemente, sempre. Come oggi. Il Signore non lo vediamo fisicamente, ma dobbiamo imparare a vederlo nel nostro cuore, nella nostra vita, come il Risorto, che si presenta a noi nell’Eucaristia, nella Scrittura, nella grazia, nell’amicizia che ci offre costantemente. Sta a noi riconoscerlo come tale.

Poi c’è l’altro passaggio: quando il Signore va via, dove bisogna vedere il Risorto? Chi è il Risorto? Beh, Papa Francesco, con la testimonianza che ha dato, è stato un segno visibile del Cristo presente in mezzo agli uomini. Tutto l’incenso, tutta la celebrazione che gli viene riservata in questi giorni non ha senso se resta fine a sé stessa, se non ci coinvolge. Se diciamo solo: “Quanto era bravo”, “Quanto mi piaceva” – non serve a molto. Qual è l’eredità che ci ha lasciato?

L’insegnamento che ci ha lasciato è l’accostarsi ai poveri, l’essere attenti, inclusivi, accoglienti sempre e comunque. Se raccogliamo questa eredità, allora sì che viviamo secondo lo stile di un uomo che ha reso presente il Cristo Risorto nel mondo, in mezzo all’umanità.

Questa è l’eredità che il Papa ci lascia: un’eredità di esempio, di imitazione, di testimonianza del Cristo Signore, che ha sempre avuto come punto di riferimento assoluto. La sua orazione costante si è tradotta in uno stile di vita, in un’attenzione che fosse apertura verso tutti. E oggi celebriamo San Giorgio.

San Giorgio è comunque santo, può essere un riferimento più “minore” rispetto a Gesù Cristo, rispetto al Papa (che ancora non è santo, ma sicuramente lo diventerà). San Giorgio è testimone della lotta contro il male. Di lui si dicono tante cose. Nell’antichità, non c’erano dispositivi per memorizzare, tutto si tramandava raccontando. E cosa si raccontava? L’esperienza, la testimonianza di un uomo – San Giorgio – che ha lottato contro il male, rappresentato dal drago.

Il drago è un simbolo, un’immagine per dire che il male viene vinto. Siamo certi che questo sia accaduto? Se non lo siamo, allora significa che la morte di Gesù Cristo è stata vana. Ma noi sappiamo e crediamo che Gesù Cristo è risorto, ha vinto la morte, ha vinto il male, in tutte le sue forme, in tutti i suoi contesti: sociali, familiari, ecclesiali… dovunque esista il male, Cristo lo ha vinto.

E allora San Giorgio è segno di questa possibilità di combattere e vincere il male, perché Cristo lo ha vinto. E a noi servono i santi proprio per questo: per darci forza e coraggio, per dirci che anche noi – nel nostro piccolo – possiamo, come loro, testimoniare e imitare Cristo, e sconfiggere il male. Questo ha fatto Gesù Cristo. Questo ha testimoniato Papa Francesco: ha vinto il male della povertà, dell’esclusione, dell’allontanamento, del giudizio, delle guerre, della violenza.

Ha contrastato il male e ha testimoniato la pace, il desiderio profondo di pace. Ha testimoniato l’inclusione, la fraternità, l’accoglienza di tutti. La pazienza, l’amore per Dio. Queste sono le testimonianze che ci vengono date. A noi il compito di raccoglierle come eredità: del Papa, di Francesco, dei santi. Ma soprattutto perché siamo battezzati, amici e interlocutori del Cristo Risorto, che è in mezzo a noi. E sappiamo che anche noi possiamo conquistare l’amore di Dio e dei fratelli, vincendo ogni forma di male.

L’ultima cosa: “Resta con noi”. Eppure, Gesù sparisce. Ma il Signore sparisce davvero dalla nostra vita? C’è una condizione: il Signore, per quanto onnipotente, ha scelto di dipendere dagli uomini. Si è fatto ammazzare per dimostrare il suo amore. Resta con noi soltanto se lo desideriamo, se gli facciamo spazio nel nostro cuore, nella nostra vita. Se non glielo facciamo, il Signore resterà alla porta, aspettando di entrare. Non forza nessuna porta.

Resta con noi, Signore”: sia questa la preghiera di ciascuno di noi. Resta con noi, mostrati come il Risorto, capace di vincere il male attraverso di noi. Sì, perché Dio ha sconfitto il male una volta per tutte, ma ora chiede a noi di combatterlo e vincerlo nella storia, nella quotidianità che viviamo ogni giorno.

Festa di San Giorgio 23 Aprile 2025

+ S. Ecc. Mons. Biagio Colaianni