Omelia funerale Don Raffaele Bove

Carissimi fratelli e sorelle, cari sacerdoti e diaconi, reverende suore e consacrate, giovani, familiari, autorità e popolo santo di Dio, tutto, qui raccolto con commozione e vivissimi ricordi, per dire grazie ad un prete centenario che ha sparso la Parola di Dio e ha restituito speranza e luce a migliaia di fedeli, nei suoi lunghissimi anni di attività pastorale tra di noi.

Il nostro don Raffaele avanza ora verso la porta del paradiso, dove il Signore lo attende per guadagnarlo a quella pace riservata a quanti, in vita, si sono sforzati di servirlo, di amarlo, di annunciarlo. Proprio come lui.

Immaginando questa scena, allora capiamo più a fondo il versetto del salmo 26, che abbiamo letto con commozione, con le lacrime agli occhi, domenica pomeriggio, nella messa che abbiamo celebrato, con alcuni diaconi e pochi intimi, nella sua stanzetta alla Cattolica, dove è stato assistito e seguito, con cura, con mirabile carità e tenerezza. Il salmo ci descrive infatti: “Una cosa ha chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore ed ammirare il suo santuario. E termina con uno sguardo al cielo! Quel cielo che ora pronunciano con estrema gioia le labbra di don Raffaele: “Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, si insaldi il tuo cuore e spera nel Signore!”. Questo è stato don Raffaele: un prete che ha sempre chiesto e aiutato migliaia di fedeli, per contemplare la bellezza del Signore ed ammirare il suo santuario!

Prete il 29 giugno 1954, ha sempre svolto la sua attività in città, a santa Maria della Croce e in Cattedrale, come canonico penitenziere, dopo che aveva già lavorato alle poste della nostra operosa città di Campobasso e svolto il servii militare a Napoli. Fu proprio a Napoli, per un misterioso incontro che ebbe il segno decisivo per la sua scelta sacerdotale. Al Seminario di Chieti contemplò i suoi studi, per essere così un prete ben preparato, che sa ravvivare il dono di Dio avuto mediante l’imposizione delle mani, come ci dice san Paolo, nelle letture dei due santi odierni, Timoteo e Tito, le cui letture utilizziamo, perché ben confacenti con la figura di don Raffaele..

Paolo, nello scriver la sua ultima lettera a Timoteo, da Roma, una un’immagine particolare: Mi ricordo di te nelle mie preghiere, sempre, notte e giorno e poi un’espressione dolcissima: Mi tornano alla mente le tue lacrime”. Segni di grande tenerezza, che sono anche i nostri, oggi, nel ricordo di don Raffaele Bove , prete centenario (1917-2017). E di lui, con le lacrime agli occhi, ora ci piace rammentare alcuni passi della sua vita. Ma schiudo ora qui lo scrigno dei suoi scritti e raccolgo un frammento riportato in un libro, sì in una raccolta di pensieri, di cui lui mi fece dono appena io arrivai qui tra voi, a Campobasso. E ve lo sfoglio come fosse un fiore dal profumo intenso. “La vita – scriveva don Raffaele – è come un gran libro da scrivere. Le pagine più belle si trovano al termine, quando cioè si ha una visione fatta di esperienze, di memorie, di saggezza… La coscienza di una vita ben spesa e il ricordo di una condotta onesta sono poi cose gradevolissime. Fa, o Signore, che la mia uscita dal campo d’azione sia semplice e naturale, come un felice tramonto di sole. Perdona se solo oggi, in questa tranquillità, io riesca a capire quanto tu mi abbia amato e soccorso!”. E’ questo il suo testamento spirituale. Intarsiato di perle preziose per la nostra riconoscenza e la nostra crescita umana e spirituale.

Un rapido correre lungo i decenni crescenti della sua lunga e benedetta vita, spesa tutta per il bene delle anime in città e fuori. Ma permettete che prima di entrare nei dettagli, senta di dirgli grazie per il suo entusiasmo e la sua passione giovanile. Ci conquistava, vederlo passare con passi rapidi, con un perenne maturo sorriso sul volto, con il suo cuore entusiasta. Ci è di esempio, accattivante, in un’epoca in cui è facile cadere nel pessimismo e vivere comodamente nell’accidia, quel virus che ti succia l’amore e rende tutto triste. Don Raffaele, invece, è stato quel prete che ha sempre rilanciato in alto la nostra vita. Specie nelle confessioni. Lui riusciva a guardare nell’anima di chi ascoltava. E amava ripetere il versetto di Luca (21, 19): “Nella vostra pazienza possederete le vostre anime”. Don Raffaele faceva riferimento esplicito, rivolgendosi a quanti soffrivano e ricorrevano alla confessione, alla pazienza nella Croce, a prendere cioè dimora nel cuore di cristo, Espiatore Supremo. Come lo chiamava lui. Perché stando uniti al Signore, possiamo superare e vincere tutto: la paura, la morte, la solitudine.

Ma da dove egli traeva la sua energia vitale? Come faceva, nella sua veneranda età, ad essere come una palma e come un cedro del libano, che nella vecchiaia danno frutti ed sono vegeti e rigogliosi (salmo 91)?. Tutti ce lo chiedevamo. Penso questo segreto sia nella sua stessa vita. Eccone i passaggi più espressivi: la sua famiglia ed il suo lavoro; la sua passione allo studio; la forte amicizia con padre Pio e con Madre Teresa di Calcutta, oltre che con Fra Immacolato Brienza che hanno accompagnato la sua intera vita; il suo ministero di confessore diuturno e la sua saggia valorizzazione dell’esorcismo; la passione missionaria per i Lebbrosi; i costanti pellegrinaggi alla Madonna di Medjugorie e a Lourdes e in Palestina. Sigillo meraviglioso fu l’entusiastico incontro con il papa, sulla porta di questa bella cattedrale, il 5 luglio 2014. Quasi sette tappe, di una vita intensissima e luminosa.

  • La sua famiglia e il suo lavoro. Sono stati la culla della sua fede e della sua vocazione. Della mamma (nei dialoghi che ho fatto con lui, specie alla sera di natale, dove potei rimanere con lui a lungo, in grande ammirazione silenziosa!) ne parlava con venerazione. In particolare, ricordava la sua forte presenza, la sua guida appassionata nell’adolescenza, specie nell’educarlo alla purezza e alla onestà professionale, la cura che aveva per il fratello cappuccino, padre Gabriele (che è morto proprio il 26 gennaio 1990), che si era ritirato a San Giovanni Rotondo, per essere così confratello di padre Pio. Sembra proprio di risentire le stesse parole ammirate di san Paolo, quando rivolgendosi al discepolo Timoteo, ne ricorda la nonna Loide e la mamma Eunice, che gli hanno trasmesso una fede schietta! Ecco, questo è il più bel aggettivo con cui definire don Raffaele: un uomo ed un prete dalla fede schietta! Perché forgiato dalla famiglia e dal lavoro. Sapeva infatti essere sereno ma anche chiaro. Limpido ma anche pungente nella confessione, per stimolare al bene. Mai rassegnato ai tuoi peccati, ma con te sentivi che si dispiaceva, che soffriva per il male che riscontrava in te!

Ricordava con simpatia la sua esperienza di lavoro alle Poste e di impegno civico in città. Penso che proprio questa sua singolare esperienza di vita, che è andata oltre il seminario, gli abbia conferito quella concretezza che sapeva trasmettere nel lungo adeguato tempo che riservava alle confessioni, di tutte le categorie, che affollavano il suo confessionale, qui in cattedrale, nella sua stanza sempre accesa.

Carico di fascino resta quell’episodio, in cui egli narra della sua vocazione al sacerdozio, quando cioè, facendo il servizio militare a Napoli, fu chiamato, inaspettatamente, da una suora, in parlatorio, che gli rivolse un invito, determinante per lui, ad iniziare il cammino verso il sacerdozio! Una vocazione che maturò poi in contatto con mons. Bologna, nostro vescovo dall’aprile 1940 al 10ottobre 1943, un vescovo che ha dato la sua vita per le pecorelle, senza fuggire nemmeno davanti alla paura della guerra. Anzi, dandosi proprio in oblazione per la salvezza della città. Allora, quel ragazzo, Raffaele, aveva una quindicina d’anni. Perciò, il fascino di quella bella figura di Vescovo, anche sul piano fisico, gli rimase sempre impressa. Da qui, la forza della testimonianza che ci ha lasciato, tramite la penna del prof. Di Tullio, nella biografia del santo Vescovo Bologna. Che bello, notare anche questo intreccio: mons. Bologna, Aldo Brienza, don Raffaele Bove e don Giovanni Battista; perché è vero che la santità matura sempre grappolo! Un santo ne fa un altro!

  • La passione per lo studio lo ha sempre accompagnato. Lungo tutta la sua vita, Basta vedere la sua biblioteca, molto qualificata. Ed ancor più, i libri da lui scritti, facili, popolari, per spiegare le virtù specie ai giovani, basati su una teologia morale di forte impronta ascetica. Ha imparato a usare il computer a 90 anni, per merito di una professoressa, che si è messa con pazienza e buon frutto, accanto, a lui. Ed una volta imparato, ha utilizzato quest’arma, per rendere ancor più accessibili le tua perle di saggezza e di santità. Tredici sono le sue pubblicazioni, che dovranno essere da noi ben custoditi e amati!
  • L’amicizia con Padre Pio resta uno dei cardini della sua vita. Iniziata fin da fanciullo, quando con la mamma andava a visitare il fratello cappuccino, a san Giovanni Rotondo, divenne un baluardo. Perché, ovviamente, i santi si intendono subito. Tra loro, si crea una catena di amicizia spirituale mirabile, che si fa sostegno e forza reciproca. Aiuto a salire in cordata verso le vette della santità. Mai senza l’altro, O, come dice il vangelo di oggi, a due a due inviati in ogni città e villaggio dove Gesù stava per recarsi! A due a due è fatta la santità. Come il nostro apostolato, se si vuole che ponga solide radici!

Di ricordi di Padre Pio, è ricca la sua casa. Alcune reliquie sono di grande vocazione e pregio. Ma è stata soprattutto la esemplarità e fedeltà al ministero delle confessioni il suo più grande zelo nell’attuazione di questa amicizia spirituale. Entrambi hanno dato la vita per le confessioni. Ci mancherà, in cattedrale, questa sua figura, di chi ci ha ascoltati, di chi è entrato nel nostro cuore. Di chi ha sofferto per noi e con noi nell’ascolto die nostri brutti peccati. Ogni confessione, nella testimonianza di molti, era una vera catechesi, Profonda, personalizzata. Mai sbrigativa né superficiale. Anzi! Tutto il tempo necessario si prendeva! Grande direttore d’anime.

Ed anche come esorcista, seppe affrontare il diavolo, senza toni o forme eclatanti. Ricordo una volta di averlo chiamato, in modo diretto, per un caso complicato, in curia. Venne subito. Ma con un ampio sorriso, invitante alla fiducia. Con uno spazio alla essenzialità, senza perdersi in chiacchiere. Così, dopo un immediato duro confronto, quell’anima si placò ben presto, ritrovando anch’egli un sorriso di pace. Perché aveva deposto davanti a Gesù le sue pare e peccati. Così in tanti altri casi, Fu, la sua un’attività di esorcista, soprattutto nel quotidiano. Dove di fatto, il diavolo opera maggiormente. Perché è furbo e sa bene che è nel banale, nella normalità che egli maggior danno può fare, se non è mascherato. Qui, don Raffaele è stato un grande: perché ha capito il piccolo e la verità delle cose. E delle persone! Che lui ben sapeva mettere in chiarezza. E parlo per esperienza, perché diverse volte sono andato anch’io a confessarmi da lui! Con riconoscenza e benedizione!

Ma va ricordato anche una dimensione sociale della sua attività di confessore: don Raffaele è stato un saggio pacificatore, nelle contese familiari: “Entrando nelle case, dite subito: Pace a questa Casa!”, – ci dice il vangelo appena ascoltato! Ho raccolto notevoli attestazioni, di come egli sia riuscito a riportare la pace nelle case. Un po’ come avvenne nella celebre contesa pacificata tra Trinitari crociati, del 1587, ritratta nel famoso quadro del pittore campobassano Giammaria Felice (1592), quando l’artista volle rendere la forza delle divisioni con i diavoletti che scappano dalle finestre delle case, là dove era giunta la pace! Un po’ così, fu l’opera di don Raffaele, sulle orme di fra Girolamo da Sorbo, cappuccino anche lui,, come suo fratello.

  • Singolare l’amicizia con Madre Teresa di Calcutta. Ed anche sorprendente. Con dei particolari inspiegabili, che solo tra i santi possono avvenire. Come inattesi incontri, come reciproca richiesta di preghiera, come la passione comune per i poveri. Specie i lebbrosi dell’India, dove egli si è recato molteplici volte. Verso di loro è stato un benefattore generoso e aperto, prodigo e zelante. A loro ha portato aiuto ed annunciato il vangelo, come narra la pagina odierna: Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, guarite i malati che si trovano e dite loro: E’ vicino a voi il Regno di Dio!” (Luca 10, 1-9). Don Raffaele aveva gli occhi belli, azzurri, come Madre Teresa. Occhi belli (come narra un aneddoto) perché lei, dagli occhi degli altri, sapeva asciugare molte lacrime! Così si può dire, oggi, di don Raffaele!
  • Grande poi l’amore alla Madonna, specie a Medjugorie, dove si recava di frequente, fin’anche a 99 anni. Vi traeva forza, spandeva grazia, si dedicava pienamente alle confessioni e alla predicazione. Mai stanco, se non per ammissione sua, a 99 anni. “Questo viaggio vi confesso, mi è sembrato pesante. Mi sono stancato! – Ammetteva l’ultima volta, nell’estate scorsa! La Madonna per lui era icona di grazie e santità. Soprattutto, la venerava come Immacolata, non mancando mai di indicarla ai suoi penitenti. Raccomandando quel motto antico, di essere cioè santi e puri sicut Angeli. Un obiettivo alto. Ma necessario, pur se eroico e faticoso. Necessario, proprio per non finire omologati e banali, come la modernità vorrebbe, rischiando di ingoiarci!
  • La stessa passione la custodiva per i pellegrinaggi in Palestina, perché sentiva in quei luoghi la forza della fede delle origini. Quella fede schietta che rinasce in ogni visita ai Luoghi santi. Ed è bello, a questo punto, ringraziare i numerosi e fedelissimi devoti che sempre lo accompagnavano, in ogni suo pellegrinaggio sia a Medjugorie che a Lourdes o in Palestina. Sempre a lui vicini, sempre attenti ad ogni sua necessità. Perché, poi, dopo ogni viaggio, restava nel cuore la sua parola, il suo sorriso, la sua infaticabile attività. E saranno proprio loro con consenso del capitolo, che lo ospiteranno un una cappellina del cimitero cittadino, in attesa della risurrezione. La Cappellina resterà però aperta a tutti, per poter continuare a sentire la sua benedizione, quella – diceva – che Padre Pio gli aveva suggerito di recitare. Poiché io non posso essere sempre tra voi, ecco a te, don Raffaele, consegno questo dono. Spargila a piene mani e a tutti! E così ha fatto, con abbondanza, con tutti noi.
  • Vertice del suo cammino di fede fu l’incontro con papa Francesco, nella sua visita tra di noi, nello storico sabato 5 luglio 2014. Le foto, belle e ampie, che conserva nella sua casa in via C. Battisti, ancora oggi esprimono con larghezza, l’entusiasmo ed il sorriso ampio di questo nostro prete. Sono foto bellissime, eloquenti. Un abbraccio tra due anziani, che si incontrano e si stimano, che reciprocamente pregano, per un comune cammino di fede.

E in relazione alla cattedrale, dove era canonico penitenziere, ricordo sempre le sue presenza all’ingresso, nei momenti ufficiali di accoglienza dell’arcivescovo. Pronto, con passo celere, bel sorriso, pace interiore che trasmetteva. Lui c’era! Offriva il crocifisso e l’acqua santa. Donava entusiasmo e luce.

Per questo, desidero raccogliere la sua testimonianza in tre parole, che hanno attraversato l’inter sua lunga vita:

  • La messe è molta e gli operai sono pochi! Parola che oggi, ad ogni funerale di prete, ritornano tremendamente attuali e vere. Ci sia di monito la storia di don Raffaele. Ad ogni età, in ogni ambiente, può maturare una vocazione. Per questo, sentiamoci impegnati con maggior zelo nella pastorale vocazionale. E’ il settore più fragile, per inadeguata corrispondenza nelle parrocchie. Non perdiamo le sante abitudini all’adorazione vocazionale, alla preghiera, al sacrificio, alla passione e discernimento, all’accompagnamento dei nostri giovani e ragazze. M sappiamo bene che molte nostre vocazioni sono sgorgate dalla direzione spirituale, da riprender e con metodo sistematico, specie nella pratica delle 24 ore per il Signore, eredità fruttuosa del Giubileo della misericordia
  • Camminare sempre a due a due. Perché solo questo stile sinodale permetterà di dare consistenza alle nostre opere e attività. Don Raffaele, pur se solo, ha sempre creato attorno a sé un corona di grazia e di cordialità reciproca. Cioè, quel clima che ti mette in pace, ti valorizza e ti lancia in alto! Tra preti e preti; tra preti e laici, con il Vescovo. Per una formazione aggregativa che sfidi la crescente scolarizzazione.
  • Fede schietta, come hanno saputo trasmettere la nonna e la mamma di Timoteo. Cioè le nostre famiglie, con i Cenacoli del Vangelo, con il rosario nelle case, con la catechesi in famiglia, con l’esempio nel dolore, con la vicinanza alle sollecitudini sociali, perché nessuno resti solo. Portare i nostri fedeli ed i nostri figli ad una fede schietta sia realmente l’eredità più grande di questo prete.

E chiudo questo mio lungo dire con un grazie a tuti voi. In particolare, permettetemelo, a chi è stato più vicino a lui, come alcuni preti e diaconi, i suoi penitenti fissi, le persone dei suoi pellegrinaggi, i Salesiani della stessa sua casa, il Capitolo e la chiesa della Cattedrale, particolarmente a lui vicina. Con il grazie all’Ospedale, la Cattolica, per la premura con chi lo hanno curato e seguito, con qualità e tenerezza, ance per la presenza di tanti volontari/e che lo hanno assistito, fino all’ultimo respiro, ieri mattina, alle ore 7,25, di mercoledì 25 gennaio 2017, festa della conversione di san Paolo e chiusura dell’ottavario di preghiera per l’unità die Cristiano.

“Amen riposa in pace, caro don Raffaele. E si compia per te quanto abbiamo pregato, sul tuo letto di dolore, domenica scorsa: Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi. Ecco, ora sei nella terra dei viventi, sei tra i santi con lui hai intessuto un’amicizia spirituale di meravigliosa grandezza. Godi con loro la pienezza della beatitudine divina, insieme a Maria, da te tanto amata. E il tuo cuore mai si dimentichi di noi, con nuove vocazioni ed una spinta ulteriore verso le vette della santità, per tutti noi, in attesa di rivederci, tutti, insieme, nella luce del cristo Risorto. Amen”

 

Campobasso, 26 gennaio 2017

 

f.to+p. GianCarlo, vescovo

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